Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Laide intese”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 25 Luglio 2013 - 08:22 OLTRE 6 MESI FA
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: "Laide intese"

Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Laide intese”

ROMA – “Laide intese”, questo il titolo dell’editoriale di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano (25 luglio). “Tutto si può dire dei fautori delle larghe intese, tranne che difettino di sense of humour. Anzi, sono spiritosissimi” scrive Travaglio. Un Esempio? “Hanno riportato al potere B., l’hanno trasformato da sconfitto alle elezioni a padrone del governo e padre ri-costituente.”

Ecco uno stralcio dell’articolo:

ggi il politico che baratta voti con la mafia in cambio di favori, appalti, assunzioni, fondi pubblici agli amici degli amici non commette reato. Perché questo scatti, occorre che i voti li paghi in denaro, cash: cosa che naturalmente non fa nessuno (l’unico precedente, secondo gli inquirenti, riguarda quel gran genio di Vittorio Cecchi Gori). I mafiosi sono ricchi, ma abbisognano di “altre utilità” (proprio quelle che una manina cancellò all’ultimo momento dal testo del ‘ 92). Ora le “altre utilità” vengono inserite nella riforma frutto del compromesso Pd-Pdl-montiani sotto l’alto patrocinio del presidente ridens del Senato, Piero Grasso. Ma naturalmente è tutto finto. Fatto l’inganno, trovata la legge. L’escamotage che salverà gli scambisti ruota intorno ad altre tre soavi paroline: “consapevolmente”, “procacciamento” ed “erogazione”. La prima pretende che il giudice processi le prave intenzioni del politico votato dai mafiosi: il che, nel paese dell’ “a mia insaputa”, è impossibile. Diranno tutti che non se n’erano accorti, o che la mafia li votava per simpatia. La seconda e la terza rendono insufficiente la promessa di voti dal mafioso al politico: bisognerà dimostrare che questi sono davvero arrivati (e come si fa? Si nascondono telecamere nei seggi?). Casomai, in queste strettoie, si riuscisse a far passare qualche politico colluso, ecco la soluzione finale: il riferimento al 416-bis, l’associazione mafiosa, per le modalità di procacciamento: non basta che il mafioso porti voti, occorre pure provare che l’ha fatto con metodi violenti e intimidatori. Se invece è stato gentile, con un’occhiata delle sue o un riferimento ai bei bambini dell’elettore, è tutto lecito. Cose che accadono quando si affida la legge sul voto di scambio ai politici che lo praticano da sempre o hanno addirittura fondato un partito col sostegno di Cosa Nostra. Ma in fondo è meglio così. In un paese dove a ogni indagine o arresto o processo su un qualunque politico delinquente scatta la rivolta dell’intero Parlamento e del 99 per cento della stampa contro la persecuzione, l’accanimento e i teoremi ai danni del Tortora reincarnato, inventare nuovi reati per i politici delinquenti non è solo difficile: è inutile. E dannoso. Costringe i magistrati e la polizia giudiziaria a spendere un sacco di tempo e soldi per incriminare altri politici delinquenti che poi, anche se condannati, verranno beatificati dai loro compari. Meglio depenalizzare anche i pochi reati dei colletti bianchi ancora previsti dal Codice penale, e saltare almeno un passaggio della costosa trafila. Oggi è più o meno questa: indagato, imputato, condannato, candidato (e spesso condonato). Meglio semplificare: indagato, rinviato a giudizio, candidato, santo subito.