Pd tra vocazione minoritaria e illusione Renzi: Gualmini sulla Stampa

Pubblicato il 13 Marzo 2013 - 06:37 OLTRE 6 MESI FA
elisabetta gualmini

Gualmini: vocazione minoritaria del Pd

Il Pd sembra avviato verso un destino di partito a “vocazione minoritaria”: è una strada “maneggevole e rassicurante”, che risparmia l’obbligo di  “darsi programmi e una strategia per vincere le elezioni”, cui si preferisce la difesa della “identità interna e i gruppi dirigenti, vecchi e nuovi, ad essa [identità] più fedeli”.

La tesi è elaborata, in modo convincente, da Elisabetta Gualmini, ordinario di Scienza della Politica a Bologna, sulla Stampa di Torino:

“la gestione del dopo-voto da parte del Pd appare ancora più barcollante della sua afona campagna elettorale”.

Che gli ideologi della “ditta democratica”, scrive Gualmini,  per “uscire dalle secche in cui si sono impantanati” abbiano scelto di   imboccare definitivamente quella strada sembra dimostrato dalla

“ostinata, surreale rincorsa a una «alleanza di combattimento» (già il nome è come il cigolio del gesso su una lavagna nera) con il M5S“.

Dismessi con dispregio “i polverosi «appelli degli intellettuali»”, liquidato perché destinato al fallimento il tentativo dei pontieri verso Beppe Grillo, l’articolo insiste sulla

“visione settaria non troppo celata dal gruppo dei «giovani turchi» i quali, tra di loro, si raccontano che l’emorragia di consensi del Pd sarebbe stata causata da uno spostamento eccessivo del Pd a destra… Ipotesi bizzarra che per un verso cancella il ruolo di primo piano da essi stessi svolto nella segreteria di Pierluigi Bersani, per un altro non si concilia con il fatto che mentre Sel, elettoralmente parlando, si è impietosamente dissolta, i voti del Pd sono andati a una formazione politica (il M5S) che i giovani turchi considerano reazionaria”.

Appare da escludere anche che

“sia sufficiente la pura riedizione del Renzi n.1, quello di novembre, con al seguito stavolta anche qualche truppa del battaglione bersaniano in cerca di una nuova protezione. Dopo una sassata così violenta alla vetrata del Pd, servono coraggio, freddezza e carisma fuori misura, ma anche un solido progetto di governo. Per il quale mancano un paio di condizioni che sinora Matteo Renzi ha sempre potuto eludere.

1. “Renzi dovrebbe prima prendersi il partito: Pensare di governare senza controllare il partito vuol già dire partire col piede sbagliato; [e poi]

2. “dovrebbe anche dare concreta dimostrazione che la sua furia rottamatrice non porti al potere un deserto desolante di competenze simile nella sostanza a quello esibito dai neofiti grillini”.

Conclusione:

“Pensare di acquisire la leadership senza passare da primarie/congresso che ribaltino gli equilibri del 2009, sarebbe illusorio. Nei grandi partiti la lotta per la leadership passa per sanguinose ricalibrature interne in cui gli assetti preesistenti diventano minoranza e quelli nuovi maggioranza. […] Mai come in questa fase le opportunità ci sono. Per guardare dritto il rinnovamento ed essere all’altezza dell’urlo disperato per un cambio di passo levatosi tra gli elettori. Ma Renzi, ce la farà?”