Putin riabilita (70 anni dopo) anche gli italiani di Crimea. Fabrizio Dragosei, Corriere della Sera

di Redazione Blitz
Pubblicato il 23 Aprile 2014 - 10:30 OLTRE 6 MESI FA
Le tappe della migrazione in Crimea, dall'articolo del Corriere della Sera

Le tappe della migrazione in Crimea, dall’articolo del Corriere della Sera

ROMA – “Deportati da Stalin in Asia centrale, privati di tutti i loro averi, sballottati da un Paese all’altro, i pochi sopravvissuti della colonia italiana in Crimea – scrive Fabrizio Dragosei del Corriere della Sera – potranno ora vedersi riconoscere dalla Russia lo status di perseguitati politici”.

L’articolo completo:

Vladimir Putin ha firmato nei giorni scorsi un decreto per la riabilitazione dei tatari di Crimea e di altre popolazioni che vennero deportate da Stalin durante la Seconda guerra mondiale con l’accusa di aver collaborato col nemico. Nel decreto sono citate varie etnie, ma non gli italiani che fanno parte di una piccola minoranza arrivata sul Mar Nero in varie ondate, a cominciare dall’epoca di Caterina la Grande.
Il Cremlino ha però confermato ieri al Corriere che anche i neo-cittadini russi di etnia italiana potranno beneficiare delle norme sulla riabilitazione delle vittime delle repressioni staliniane. In particolare, ci è stato spiegato, si applicherà a loro la legge 1761/1 del 18 ottobre 1991 che prevede misure per le «vittime delle repressioni politiche». Potranno avere indennizzi specifici e la restituzione dei beni confiscati, comprese le case quando queste non siano state distrutte in guerra o nazionalizzate. Una buona notizia in un periodo di grande angoscia. Che viene accolta con grande cautela da coloro che ancora abitano nella penisola appena passata dall’Ucraina alla Federazione Russa. Fino ad oggi Kiev non ha mai riconosciuto la persecuzione di queste popolazioni, compresi i tatari che sono circa trecentomila. «Speriamo che possa finalmente venircene qualche cosa di positivo», sospira Galina Scolarino, presidentessa dell’associazione degli italiani di Crimea.
Il grosso della migrazione avvenne nell’Ottocento, quando molti (soprattutto dalla Puglia) arrivarono qui per coltivare la terra. Erano concentrati in particolare a Kerch, sullo stretto che separa il Mar Nero dal Mare d’Azov. Il punto dove oggi i russi progettano di costruire un ponte per collegare direttamente la Crimea alla regione di Krasnodar. Il 29 gennaio 1942, dopo che i sovietici avevano riconquistato quella parte della Crimea, Stalin ordinò la deportazione degli italiani, accusati di aver collaborato con l’invasore. Migliaia di famiglie furono caricate su navi e poi su carri bestiame per essere trasportati in Kazakistan. Quelli che arrivarono vivi finirono nella steppa di Akmolinsk (l’attuale capitale Astana) e Karaganda. Abbandonati a sé stessi o inquadrati in squadre di lavoro forzato.
Dopo la morte del tiranno, molti poterono tornare in Crimea, ma non ottennero mai la restituzione dei loro beni. Ora Putin, dopo l’annessione della penisola, tenta di vincere anche le resistenze esistenti fra le minoranze, a cominciare dai tatari che si sono espressi contro l’annessione. Il decreto varato mirerebbe, secondo alcune interpretazioni, a riconoscere a questa popolazione il diritto a mantenere le terre che hanno occupato illegalmente dopo il ritorno. Per rendere il provvedimento più generale, Putin ha deciso di citare esplicitamente alcune delle altre popolazioni vittime delle persecuzioni in quest’area: armeni, bulgari, greci e tedeschi. Ora sappiamo che anche gli italiani (sarebbero meno di 300) potranno vedere riconosciute ufficialmente le loro sofferenze. Rimane aperta la questione di riottenere la cittadinanza italiana. Ma questa è un’altra storia.