Valentini a Napolitano: media cooperano con notizie sgradite

Pubblicato il 28 Aprile 2013 - 06:38 OLTRE 6 MESI FA
giovanni valentini

Giovanni Valentini: i giornali cooperano dando tutte le notizie

Un garbato ma fermo no alla richiesta del Presidente della Repubblica GiorgioNapolitano che i giornalisti “cooperino alla distensione generale iniziata con il Governo Letta è stato messo nero su bianco da Giovanni Valentini, che in gioventù è stato direttore del settimanale l’Espresso e vice direttore di Repubblica e che continua, anche in età non più verdissima, la sua lotta al malcostume nel mondo dei mass media.

Sono molto pochi, e tra questi c’è Giuseppe Giulietti, quelli che hanno riscontrato la pericolosità dell’invito del Presidente della Repubblica: in genere, il coro ossequiente è stato univoco.

Valentini, che sosteneva la pericolosità di Berlusconi per i giornali quando ancora alcuni futuri nemici dello stesso Berlusconi ne sostenevano la innocenza, è uno dei pochi che ha titolo a parlare male di Berlusconi perché sempre coerente e costante nella sua critica anche aspra.

Vergin di servo encomio e di codardo oltraggio Giovanni Valentini, nella sua rubrica su Repubblica “il sabato del villaggio”, ha definito il berlusconismo come quella

“cultura o sottocultura di massa, imperniata sul modello della tv commerciale, sul consumismo esasperato, sull’individualismo e sull’egoismo sociale, oltre che sull’illegalità diffusa, che trae origine la deriva della società italiana”.

Ciò costituisce il

“focolaio principale, anche se non certo l’unico, di quella “Sindrome di Arcore” di cui una gran parte del popolo italiano è ancora vittima e prigioniero. Un costume civile o incivile che verosimilmente è destinato a sopravvivere perfino a Berlusconi. E sia pure per “cooperare” alla distensione, i giornalisti non possono tradire comunque la propria responsabilità nei confronti della pubblica opinione, rischiando di contribuire così ad alimentare un ulteriore degrado”.

Ecco perché dice, anche se con estremo garbo e altrettanta circospezione, no a Napolitano, anche se, nel suo

“discorso d’insediamento alle Camere, come il “Veni Creator Spiritus” prima del Conclave nella Cappella Sistina, c’è un forte richiamo alla responsabilità collettiva che riguarda i politici, i cittadini e anche i giornalisti”.

Le parole di Napolitano sono state chiare:

“Confido che tutti cooperino – e quando dico tutti mi riferisco anche, in particolare, ai mezzi di informazione – a favorire il massimo di distensione piuttosto che il rinfocolare vecchie tensioni”.

Ma a Valentini, che di secondo nome, dopo Giovanni, fa Libero, non va giù:

“Cooperare” vuol dire collaborare, concorrere, contribuire. E dunque, ciascuno di noi è chiamato a fare uno sforzo per favorire appunto la distensione, evitando di “rinfocolare” tensioni vecchie e nuove.

E si chiede:

“Che cosa possono fare in concreto i mezzi di informazione, scontando tutti i propri limiti e i propri difetti? Come possono “cooperare” alla distensione i giornalisti nell’esercizio delle loro funzioni professionali?

“Evidentemente, non possono né imbavagliarsi da soli né tantomeno autocensurarsi. Semmai, possono concentrare più costruttivamente l’attenzione sugli obiettivi prioritari da raggiungere nell’interesse generale: dalla crisi economica a quella sociale, dalla lotta alla disoccupazione alle soluzioni per uscire dalla recessione e riprendere a crescere.

“Quello che i giornalisti non possono, non devono e – almeno per quanto ci riguarda – non vogliono fare, invece, è collaborare o contribuire a cancellare con un “colpo di spugna” mediatico le differenze e le distinzioni che pure permangono tra i due schieramenti chiamati oggi a “cooperare” in via temporanea.

“E qui, anche a rischio di contravvenire alle raccomandazioni del presidente Napolitano, non c’è alcuna buona ragione per avallare un tentativo di rimozione generale che pretenderebbe di azzerare o criminalizzare il cosiddetto anti-berlusconismo, come fosse una malattia psicosomatica più grave del berlusconismo e non, piuttosto, il suo antidoto.

“Si tratta, infatti, di due visioni opposte e anzi alternative della vita pubblica”.

 

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