Milano, bunker anti-Ebola al Sacco: 15 posti letto nel “sottomarino”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 20 Ottobre 2014 - 12:47 OLTRE 6 MESI FA
Milano, bunker anti-Ebola al Sacco: 15 posti letto nel "sottomarino"

Foto LaPresse

ROMA – Scafandri, stanze a chiusura ermetica che si aprono solo con un badge e barelle con oblò. Queste le misure anti-Ebola in dotazione ai laboratori del Sacco di Milano. Un vero e proprio bunker anti-Ebola che ricorda quasi un “sottomarino” e che mette a disposizione dei malati un totale di 15 posti letto blindati.

Mario Pappagallo sul Corriere della Sera spiega che entrare al Sacco

“è come calarsi in un «sottomarino». Il dipartimento di malattie infettive che si occupa di Aids e tubercolosi, di Sars e di aviaria, fino alle febbri emorragiche come Ebola, ha 70 posti letto ma 15 possono trasformarsi in bunker quando arriva il super malato. Lo dirige Giuliano Rizzardini, infettivologo con esperienze anche in Africa, Ebola compresa. Allergico alla cravatta, perfino al camice. Se può lo evita. «Creo più empatia con i pazienti», dice. Lui è il comandante del sottomarino, ma chi fa applicare tutto alla lettera è il nostromo: la caposala. Cecilia Paoli, il coordinatore sanitario delle malattie infettive. È lei a guidarci in una simulazione”.

Pappagallo assiste alla simulazione:

“Laura Cordier, infettivologa che ha già recuperato sul campo un sospetto malato di Ebola per trasportarlo dall’Amedeo di Savoia di Torino all’aeroporto di Caselle dove un aereo militare lo ha portato allo Spallanzani di Roma, si veste con lo scafandro. Le tute si usano nel reparto, in caso di malati ancora senza gravi sintomi. Gli scafandri servono per avvicinare i malati gravi, quelli che immettono virus con sangue e altri liquidi corporei. I tessuti sono impermeabili a liquidi e aria. Gestire un malato di Ebola è costoso, soprattutto per i materiali che vanno distrutti. Ogni tuta va buttata dopo l’uso, lo scafandro solo se contaminato. Tutto all’inceneritore.

Perfino l’ambulanza è speciale: un camper di tre vani, uno per il paziente trasportato nella barella isolata e per il personale in scafandro, un altro per personale di supporto e materiale, uno di guida. E il suo ingresso al reparto ha le caratteristiche dell’isolamento. È un ingresso unico. Nella barella c’è un oblò come quello delle navi: serve a spostare il malato in un’altra barella all’altra, in caso di trasporto, o nella stanza di degenza. Si agganciano gli oblò di due barelle (per esempio quella dell’aereo) si aprono e si sposta il paziente da un contenitore isolato all’altro”.

Anche per entrare nell’ambulanza bisogna seguire un protocollo preciso:

“L’ambulanza arriva, e sempre con apertura tramite badge (luce rossa non si entra, luce verde si apre la porta) si passa in due anticamere: una per la barella, dove vanno gli accompagnatori in scafandro, l’altra per la vestizione. Poi il corridoio e la stanza, ognuna per un solo malato. Due corridoi con vetri consentono il controllo costante dei malati senza entrare.

Gli accessi si aprono in sequenza quando il precedente è chiuso. Le camere sono a pressione più bassa e nel reparto l’aria è igienicamente filtrata. Vicino alle stanze di ingresso c’è la doccia. Anche in quella per la barella. Alla fine di ogni operazione, il personale (uno per volta) deve sottoporsi ancora con lo scafandro a una doccia disinfettante. Automatica. Tre minuti. Poi esce, si sveste e tutto l’equipaggiamento parte verso l’inceneritore”.

I medici vestono come omini Michelin, nelle tute bianche che impediscono ogni contaminazione:

“Il personale addestrato c’è, ma – avverte Rizzardini – «se dopo la gestione di un malato di Ebola ognuno deve passare giorni in quarantena (ultime direttive Oms in seguito alle infermiere infettate in Spagna e negli Usa) il rischio è che con più malati di Ebola entriamo in crisi con il numero di operatori». Per fortuna al momento in Italia pazienti zero non ci sono stati”.