Salute/ Basta con i magri. Gli obesi lanciano il loro”Fat pride” per dire basta alle discriminazioni

Pubblicato il 25 Giugno 2009 - 10:22 OLTRE 6 MESI FA

jpg_2102372Stanchi di essere rimproverati gli obesi lanciano il loro “Fat pride” seguendo la parola d’ordine “Grasso è bello”. Stanchi di essere associati a “persone pigre” o “ignoranti”, si sono organizzati in rete e tramite decine di blog, si oppongono alle discriminazioni in base al peso dichiarando di «star bene col proprio corpo, anche se è una taglia 56».

Il manifesto più noto uscito a difesa degli obesi, è quello di Kate Harding e Marianne Kirby, due bloggers che hanno scritto un libro dal titolo: «Lessons from fat-o-sphere: stop dieting and declare a truce with your body ( lezioni dalla “fatosfera”: smettila di far diete e dichiara la tregua col tuo corpo)».

Ci sono siti che parlano di “liberazione obesa“. «Uno degli ostacoli all’accettazione dell’obesità è continuare a pensare che essere grassi sia una scelta»; questo sarebbe per Kate Harding, trentatreenne di Chicago amante dello yoga e dei suoi 90 chili, una delle cose che fa più arrabiare gli obesi. «Io non faccio che incontrare persone che mi danno consigli su come perdere peso. Come se non avessimo già provato di tutto!. Le diete non funzionano»,conclude la Harding, e cita libri che tra i lettori di taglia forte sono diventati cult: “The obesity myth” di Paul Campos e “Rethinking thin” della giornalista del New York Times Gina Kolata.

Tutto ebbe inizio con un sit-in nella fine degli anni ’60 a New York: 500 persone si riunirono in Central Park a bruciare libri sulle diete. Quel giorno naque la “Naafa“, “National association to aid fat americans, poi ribattezzata association to advance fat acceptance”, visitabile al sito www.naafa.org.

Oggi l’associazione ha una sua giornata nazionale, il no diet day che si festeggia tutti gli anni il 6 maggio, nato in risposta anche, oltre alle discriminazioni subite, ai tanti insulti ricevuti.

La pressione sulla società ha portato ai primi risultati: a Washington e a San Francisco e nello Stato del Michigan, sono state emesse leggi che proibiscono discriminazioni di taglia dopo che gli obesi sono stati accusati di tutto, perfino di inquinare il pianeta, come riportato da uno studio della  London School of Hygiene Medicine, che dice che mangiare di più fa aumentare le emissioni di CO2 di una tonnellata l’anno.

Anche in Italia, l’orgoglio di essere obesi è arrivato: Angela Ferracci, ex atleta che quindicenne ha attraversato a nuoto lo Stretto di Messina, oggi è una taglia 60. Quando si è resa conto di non poter fare una risonanza magnetica perché non ci sono macchinari adatti al suo peso, ha fondato il Cido, Comitato italiano per i diritti delle persone affette da obesità e disturbi alimentari (comitatocido.it). Ci tiene però a distinguersi: «Ma quale orgoglio grasso, sarebbe come essere orgogliosi di avere un cancro. Gli obesi sono pazienti come gli altri e come gli altri hanno bisogno di assistenza e cure per tenere sotto controllo la malattia. L’obesità diventa malattia solo quando si tratta di denunciarne i costi sociali. Se hai un lavoro è perché lo hai trovato prima di pesare 100 chili. In Italia ci sono sei milioni di obesi, tra cui centinaia di migliaia di giovanissimi, chiusi in casa con i loro 265 euro al mese di pensione di invalidità e nessuno ti fa una polizza se superi i cento chili».

Qui da noi tuttavia, per aiutare gli obesi anche a trovare un medico o strutture varie che li possono accogliere, ancora non ci sono “liste” vere e proprie come in America, ci sono solo dei blog come cicciones.blogspot.com. Intanto, alcune aziende hanno direzionato il “genio italico” verso gli obesi, come le barelle per taglie extra – large prodotte a Prato e poi vendute in Alabama, come per dire che tutto, anche l’obesità, può diventare un business.