Felipe Melo, emblema dell’Inter di Roberto Mancini

di redazione blitz
Pubblicato il 24 Settembre 2015 - 21:20 OLTRE 6 MESI FA
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Foto LaPresse – Spada

ROMA – Centodiciotto ammonizioni in 364 presenze in carriera. Più di un giallo ogni tre partite. E in questo inizio di avventura all’Inter ne ha già incassati due in tre gare. Sono i numeri di Felipe Melo – a cui vanno aggiunti anche 38 gol, l’ultimo ieri al Verona – che in questo momento è il giocatore più rappresentativo della squadra nerazzurra. Una Inter in vetta alla serie A che non trova flessioni, bottino pieno e dieci punti in più della Juventus, otto sulla Roma.

Felipe Melo è un calciatore fisico, aggressivo, pragmatico, senza fronzoli o giocate da fuoriclasse, come lo sono le prestazioni dell’Inter. In pochi minuti il centrocampista brasiliano è diventato leader della squadra, mentre la fiducia di Mancini se l’era già guadagnata. Il tecnico lo ha voluto proprio per le sue caratteristiche di giocatore ruvido e concreto ed ha affidato ad un mastino del centrocampo la guida dell’Inter.

Melo non si risparmia nei contrasti di gioco, vede il calcio come uno sport di contatto dove la fisicità può avere la meglio. Una filosofia che non trova mezze misure. “Se non vuoi contatti, giochi a tennis”, aveva dichiarato qualche giorno fa commentando la gomitata rifilata a Mpoku del Chievo. Tennis o meno, l’ala congolese si è fratturata lo zigomo e in uno scontro di gioco anche Pazzini ieri ha rischiato un lungo stop. Felipe Melo è questo: sicurezza (forse troppa) in campo e spregiudicatezza davanti alle telecamere.

E’ un giocatore maturo che sopperisce con la fisicità a ciò che il Dio del calcio non gli ha concesso. Aveva lasciato un pessimo ricordo alla Serie A. Nei suoi anni alla Juventus fu clamoroso l’episodio del calcio in faccia a Massimo Papa, un fallo di reazione che gli costò tre giornate di squalifica. L’esperienza all’estero, in un campionato difficile e fisico, lo hanno temprato. E ha canalizzato l’energia, facendolo diventare il leader della nuova Inter.

E’ il progetto di Mancini che, per ora, sta portando i suoi frutti. Il primo posto in classifica a punteggio pieno è un risultato che mancava dai tempi del mago Helenio Herrera, dalla stagione 66-67. Vittorie senza gioco però. Ieri nel primo tempo col Verona a San Siro, i padroni di casa hanno provato la conclusione in porta in solo due occasioni. Tanti passaggi sbagliati, pochi palloni giocabili per Icardi. Poi l’incornata di Melo, che in Italia non segnava dal 2010, e i tre punti incassati a fatica.

“Abbiamo portato fieno in cascina, per l’inverno freddo”, ha spiegato Mancini. E la sensazione è proprio questa: senza creatività, imprevedibilità di gioco, l’Inter potrebbe non andare troppo lontano. Vincere 1-0 non basta, le partite devono essere chiuse prima e non sempre ci sarà la traversa a salvare i nerazzurri (come ieri col tiro di Sala).

Ora Mancini dovrà lavorare soprattutto sui nuovi arrivati che faticano a fare la differenza. Perisic non incide e per ora ha deluso le aspettative dopo mesi di trattativa col Wolfsburg, Kondogbia è sotto tono, Ljajic ha deluso all’esordio e anche Icardi, la certezza dello scorso anno, non è altrettanto determinante. Solo Jovetic sembra imprescindibile per dare fantasia all’attacco. In attesa che i big in rosa facciano il salto di qualità, l’Inter si aggrappa a Felipe Melo. Ma per conquistare il titolo, o anche il terzo posto, alla lunga servono gioco e campioni.