La Chiesa lava i panni sporchi in piazza

Pubblicato il 13 Marzo 2009 - 18:31 OLTRE 6 MESI FA

Quattro anni dopo la sua elezione Benedetto XVI pubblicamente confessa di non governare in pieno la Chiesa, almeno nella sua versione terrena. Lamenta incomprensioni, fughe di notizie, scarsa affidabilità delle informazioni che gli giungono. E sente il bisogno di spiegare a tutto l’episcopato la sua missione. Qualcosa di mai visto in queste pubbliche forme. Il papa ha scritto parole amare ed aspre ai vescovi di tutto il mondo, lamentando che – per la vicenda della scomunica condonata ai quattro vescovi lefebvriani e specie per il caso Williamson – proprio ambienti cattolici gli abbiano mostrato un'”ostilità pronta all’attacco”. Persino arrivando a trattarlo, lui dice, con “odio senza timore e riserbo”.

Ondeggiamenti e sbandamenti della Curia, un Papa forse chiuso nel suo palazzo e costretto a fronteggiare una bufera che l’Osservatore Romano definisce senza esempi in tempi recenti. E fughe di notizie che l’organo vaticano bolla come “miserande”.

C’è quindi qualcosa che traballa nella gestione della Curia. Se ne avevano segnali da tempo, ma la rivolta di alcuni grandi episcopati – in Germania, Austria, Francia e Svizzera – contro la decisione papale di graziare i vescovi lefebvriani scomunicati senza ottenere preventivamente una loro leale adesione al concilio Vaticano II, ha messo in luce una disfunzione più generale.

Per due volte decisioni papali, che attendevano di essere rese note attraverso la sala stampa, sono state fatte filtrare all’esterno in anticipo causando clamore e polemiche. È successo con il decreto di revoca delle scomuniche, è capitato di nuovo con le indiscrezioni sulla lettera papale ai vescovi. Giovanni Maria Vian, direttore dell’Osservatore, fustiga in un corsivo le “manipolazioni e strumentalizzazioni” anche all’interno della Curia romana, ammonendo che la Curia è “organismo storicamente collegiale e che nella Chiesa ha un dovere di esemplarità”.

Non è casuale allora che siano stati i grandi episcopati d’Europa e del Canada a ribellarsi all’idea che con l’improvvisa mano tesa ai lefebvriani apparisse annacquata l’indispensabile fedeltà della Chiesa contemporanea ai principi del Vaticano II. Persino un intimo di Ratzinger come il cardinale di Vienna Schoenborn è stato costretto a denunciare le “insufficienti procedure di comunicazione nel Vaticano”.

Un modo elegante per evitare di criticare direttamente il Papa. Ma proprio in Austria si è giocato un altro evento senza precedenti nella storia dei pontificati moderni. Un vescovo ausiliare scelto dal pontefice è stato respinto dall’episcopato intero di una nazione, costringendo Benedetto XVI a un’ennesima marcia indietro.