Anche l’Italia è coinvolta nello scandalo delle tangenti ai politici nigeriani. Si tratta di un’inchiesta internazionale già passata per le procure francesi, inglesi e statunitensi, prima di approdare al palazzo di Giustizia di Milano. L’accusa, per cui sono indagati due manager della Saipem del gruppo Eni, è di aver corrotto le autorità della Nigeria, tra il 1994 e il 2004, per l’aggiudicazione dei lavori di costruzione di sei imponenti impianti di estrazione del gas.
L’Eni, infatti, attraverso la sua controllata che allora si chiamava Snamprogetti, faceva parte di un consorzio internazionale chiamato Tski, guidato dalla società americana Kbr. Proprio le ammissioni del finanziere della Kbr Albert Jackson hanno portato all’allarmaneto dell’indagine in vari Paesi. Fra questi, appunto, l’Italia. In ballo ci sarebbero tangenti per 182 milioni di dollari, spalmati nell’arco di un decennio.
Prima che la prescrizione faccia il suo corso e renda impossibile indagare anche l’Eni in quanto persona giuridica, i magistrati milanesi hanno perquisito gli uffici della Saipem in cerca di prove. Una lotta contro il tempo per verificare se anche dei manager italiani hanno partecipato a uno dei più grossi episodi di corruzione della storia della finanza internazionale.
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