Vulcano, una eruzione come il 535 o il Tambora (1815), 1 probabilità su 6: carestie, rivolte, anno senza estate

Vulcano, una eruzione come il 535 o il Tambora (1815), 1 probabilità su 6: carestie, rivolte, anno senza estate, ecco cosa può accadere al clima e alla terra

di Maria Vittoria Prest
Pubblicato il 27 Novembre 2022 - 08:04 OLTRE 6 MESI FA
Vulcano, una eruzione come il 535 o il Tambora (1815), 1 probabilità su 6: carestie, rivolte, anno senza estate, ecco cosa può accadere al clima e alla terra

Vulcano, una eruzione come il 535 o il Tambora (1815), 1 probabilità su 6: carestie, rivolte, anno senza estate, ecco cosa può accadere al clima e alla terra

Un vulcano, anzi un megavulcano apocalittico “ha una probabilità su sei di eruttare in questo secolo”: gli scienziati avvertono dei rischi di una “devastazione globale”. Non sarebbe la prima volta nella storia.

Ricordiamo che la grande crisi che colpì l’occidente europeo e quel che restava dell’Impero romano intorno al 535/536  fu causata da una eruzione vulcanica del tipo di quella del Tambora in Indonesia (1815). Essa nel 1816 dette luogo in Europa al cosiddetto “anno senza estate”.

Nel 536 Cassiodoro, ministro imperiale del sesto secolo, scriveva: “Il sole sembra avere perso la luce, ha assunto un colore bluastro. Le nostre ombre non si vedono nemmeno a mezzogiorno, come una eclisse che dura da un anno”.

Si parla troppo poco della minaccia che alcuni grandi vulcani rappresentano per la terra e per l’umanità. I vulcani possono rimanere dormienti per molto tempo ma essere comunque capaci di distruzioni improvvise e straordinarie.

Il rischio catastrofico di un’eruzione gigantesca di vulcano è simile a quello di un asteroide di 1 km di larghezza che si abbatte su di noi.bLa differenza, però, è che la catastrofe vulcanica ha centinaia di volte più probabilità di verificarsi rispetto alle possibilità di collisione di un asteroide o di una cometa messi insieme.

Gli scienziati prevedono una probabilità su sei che un’eruzione si verifichi nel corso del secolo, con una magnitudo pari a 7.

L’eruzione del vulcano sottomarino Hunga Tonga-Hunga Haʻapai, la più grande del XXI secolo e la seconda più grande dall’esplosione del Monte Pinatubo nelle Filippine nel 1991, avvenuta il 14 gennaio 2022 nell’arcipelago di Tonga nell’Oceano Pacifico, ha causato la morte di sei persone.

Non tutte le vittime si trovavano sull’isola stessa: due sono annegate in Perù a causa di una mega onda mortale sulla spiaggia. In Giappone e negli Stati Uniti migliaia di persone sono state invitate a stare lontane dalle coste per un pericolo tsunami. Le isole del Pacifico che si trovano nelle vicinanze sono state circondate dalla cenere con interruzioni di corrente ed enormi problemi di comunicazione.

L’eruzione ha causato, dunque, dei maremoti che si sono abbattuti su Tonga, sulle Figi, su Vanauatu e sulle Isole Samoa americane, mettendo in allerta i governi di Nuova Zelanda, Australia, Giappone, Russia, Nordamerica e Sudamerica.

Possiamo quindi immaginare i gravi disagi e le ingenti perdite di vite umane che un’eruzione 10 o 100 volte più grande potrebbe causare.

Inoltre, dati recenti provenienti da carote di ghiaccio suggeriscono che la probabilità di un’eruzione di magnitudo 10 o 100 volte superiore a quella di Tonga in questo secolo è di una su sei.

L’ultima eruzione di magnitudo 7 è avvenuta nel 1815 in Indonesia e si stima che siano morte circa 100.000 persone.

“Queste eruzioni gigantesche hanno causato bruschi cambiamenti climatici e il crollo di civiltà in un lontano passato”, ha detto Lara Mani dell’Università di Cambridge.

Le temperature globali si abbassarono in media di un grado, per cui divenne noto come “l’anno senza estate”. Le coltivazioni crollarono, con conseguenti carestie, violente rivolte ed epidemie.

Oggi la popolazione mondiale è di otto volte superiore. Ciò potrebbe rendere l’umanità ancora più vulnerabile agli shock di una grande eruzione.

Per attenuare le conseguenze di una simile catastrofe è necessaria una maggiore e più precisa tecnologia di rilevamento. Bisogna investire nella ricerca. Ma soprattutto c’è l’esigenza di un coordinamento a livello mondiale per lo scambio di informazioni, tecnologie, sapere, con la consapevolezza che i vulcani non conoscono confini.

“Potremmo non essere a conoscenza di eruzioni anche relativamente recenti a causa della mancanza di ricerche sui nuclei marini e lacustri, in particolare in regioni trascurate come il Sud-Est asiatico”.