Scalfari a Marchionne: produttività non solo per gli operai, ma anche i dirigenti

Pubblicato il 2 Gennaio 2011 - 20:41 OLTRE 6 MESI FA

In un articolo domenicale tra i suoi più belli (un solo difettuccio, la citazione del discorso di fine anno del Presidente Napolitano), Eugenio Scalfari ha dato un colpo di scalpello al ginocchio della statua che la retorica acritica dei giornalisti italiani stanno scolpendo su Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, che i giornalisti del “24 Ore” hanno proclamato “uomo dell’anno” e che Sergio Romano, sul “Corriere della Sera”, ha definito un “contro-italiano” paragonabile per questa sua caratteristica a Montanelli, Longanesi e Mario Pannunzio, “per dire”, nota Scalfari, “che anche lui, come quei tre, sta rivoluzionando il modo di pensare “conformista e controriformista” (parole di Romano) degli italiani”.

Scalfari a questo non ci sta e sibila: “Visto che c’era, l’ex ambasciatore poteva aggiungere anche il nome di Berlusconi; a suo modo anche lui è un anticonformista: smantellare la Costituzione democratica, fabbricare le leggi che tutelano la sua impunità, portarsi le “escort” in casa e per il resto lasciare il paese alla deriva, configurano una vocazione innovatrice che ha notevoli precedenti nella storia italiana, anche se non propriamente raccomandabili”.
Per questo ammonisce: “Bisogna stare molto attenti ad introdurre nello stesso fascio personaggi e modi di pensare così diversi l’uno dall’altro. Marchionne con Pannunzio e Montanelli c’entra come i cavoli a merenda”.

Esortando il Parlamento a decidere “sul tema della rappresentanza sindacale in fabbrica perché non è pensabile che ci siano lavoratori privi di rappresentanza sui luoghi di lavoro”, perché “questo è un fatto non contestabile che non può avere alternative; se si insiste sui limiti di rappresentanza l’elemento del dolo diventa evidente” e quindi è giusto parlare di ricatto, Scalfari conclude: “Posso rassicurare Sergio Romano, avendoli conosciuti tutti e due molto da vicino, che né Pannunzio né Montanelli sarebbero d’accordo con Marchionne su questo punto capitale”.

“E’ vero però”, scrive anche Scalfari, ” che è azzeccato definire [Marchionne] l’uomo dell’anno: ha rivoluzionato il mercato del lavoro e le istituzioni che con il lavoro hanno attinenza, di fronte all’economia globale; li ha messi di fronte alla realtà, e questo è un merito che gli va riconosciuto. Quelli che lo imputano di autoritarismo sbagliano nel senso che la gestione di un’azienda ha sempre avuto caratteristiche autoritarie: c’è un capo che decide. nei casi migliori decide dopo aver ascoltato i suoi collaboratori, nei casi peggiori fa di testa sua”.

Non si deve dimenticare che quando Marchionne prese in mano la Fiat, l’azienda era in ginocchio e c’era chi la dava per “tecnicamente fallita”. Marchionne ha salvato la Fiat, come Napoleone ha salvato la Francia, salvo poi trascinare l’Europa in un turbine di morte e devastazione.

Ci si augura tutti che Marchionne non voglia imitare Napoleone, anche se i trionfi spesso danno alla testa e anche molti degli sbagli di Berlusconi si possono imputare alla stessa sindrome di invincibilità.

Qui è interessante la sintesi che delle ultime vicende della Fiat traccia Scalfari: “L’operazione Chrysler non fu una conquista di Torino ma un salvagente: un’azienda in fallimento che il governo americano voleva salvare e che un manager intraprendente utilizzò come punto d’appoggio per i modelli, i canali distributivi di cui disponeva e i molti miliardi di dollari che Obama metteva a disposizione.
Mettere insieme una capacità produttiva di due milioni di auto (Chrysler), di due milioni (Fiat) e di un milione (Opel), abbassando drasticamente i salari a Detroit e in Germania e chiudendo gli stabilimenti improduttivi in Italia: questo fu il piano”.
Però “l’operazione Opel andò in fumo per l’opposizione operaia e del governo tedesco. Restavano la Chrysler, la Fiat e i soldi forniti in prestito dal governo americano”.

Tutto quel che è accaduto, da Pomigliano a Mirafiori deriva da là. “Marchionne agisce e propone in stato di necessità”, salvo, nota Scalfari, “una questione niente affatto marginale: come mai, in questi anni di crisi alcune aziende automobilistiche europee hanno mantenuto la produzione e i profitti? Volkswagen, Renault, Citroen, Bmw. Le loro quote di mercato sono in aumento in Europa e fuori e perfino sul mercato italiano. Come mai?
Fiat lavora ancora su vecchi modelli, vecchi e pochi. Il tentativo di rilanciare le piccole cilindrate è stato un mezzo flop. In Italia la quota di mercato Fiat è meno di un terzo, più del 70 per cento del mercato automobilistico italiano compra macchine straniere.
Pensare — come pensano Marchionne e Sacconi — che il recupero di produttività riguardi soltanto il fattore lavoro e non anche il fattore imprenditoriale, è una visione contraddetta dalla realtà comparata”.