“Equitalia, le tasse e la faccia dello Stato”: Piero Ostellino sul ‘Corriere’

Pubblicato il 17 Maggio 2012 - 11:03 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Piero Ostellino sul ‘Corriere della Sera’ tenta di analizzare i reali motivi che inducono Equitalia ad essere, ultimamente, particolarmente sotto tiro. Ostellino scrive che le ragioni vanno ricercate nella natura stessa di Equitalia, “che non ne legittima la criminalizzazione e, tanto meno, giustifica le aggressioni cui è oggetto, ma spiega il caso”.

C’è una prima anomalia – si legge nel suo commento – Equitalia è una Società per azioni i cui azionisti sono l’Agenzia delle entrate, per il 51 per cento, e l’Inps, per il restante 49. Che senso ha l’esistenza di una Società per azioni, alla quale lo Stato ha, oltre tutto, delegato il massimo dei propri poteri autoritativi, preposta alla riscossione di imposte che ‘sono dovute’ dal cittadino? In altre parole, quale è il ‘principio di legalità’ che legittima Equitalia come S.p.a — istituto (tipicamente) privatistico; per sua natura esposto agli alti e bassi della domanda e dell’offerta, ma che, allo stesso tempo, opera qui in regime di monopolio — se la riscossione delle imposte la potrebbe esercitare direttamente lo Stato con l’Agenzia delle entrate? Veniamo, così, alla seconda anomalia. Equitalia percepisce una percentuale, per il servizio reso, sui soldi incassati. Ma quale è il ‘principio di legalità’ che legittima tale percentuale — che pare un incentivo a spremere il contribuente — dato che il cittadino ‘è tenuto’ a versare non un euro in più né uno in meno di quanto deve, e Equitalia è vincolata da ‘una obbligazione di comportamento’ a riscuotere le imposte, non da una ‘obbligazione di risultato’, cioè a incassare più che può?“.

Ostellino quindi conclude: “Le due anomalie spiegano, dunque, l’animosità nei confronti di Equitalia — colpevole solo di fare ciò che le impone la legge — perché generano il sospetto che sia stata creata dallo Stato per stornare da sé, non mettendoci la faccia, il risentimento popolare. Una versione di «vai avanti tu, che a me viene da ridere»; che concentra su un falso scopo — invece che su un sistema fiscale fra i più oppressivi — il disagio sociale”.