Trovato impiccato in cella a Bari, la famiglia: “Carlo è stato indotto al suicidio”

Pubblicato il 8 Aprile 2011 - 19:49 OLTRE 6 MESI FA

BARI – Sarà l’autopsia a mettere la parola fine ad un giallo che – secondo la procura di Bari – non c’è mai stato. Perché la morte di Carlo Saturno, il detenuto di 22 anni deceduto ieri al policlinico di Bari una settimana dopo essere stato trovato impiccato nella sua cella, sarebbe un suicidio. Lo si intuisce non solo dalle dichiarazioni a microfoni spenti degli investigatori, ma anche dall’ipotesi di reato a carico di ignoti avanzata dalla procura: l’istigazione al suicidio. Un reato che viene solitamente ipotizzato anche quando si tenta di definire meglio i contorni di quello che appare un suicidio.

L’autopsia sarà compiuta dal medico legale Francesco Introna, incaricato dalla procura di Bari di verificare le cause del decesso di Saturno e di riscontrare eventuali segni recenti di percosse (finora esclusi) che dovessero esserci sul suo corpo. Questo perché la famiglia del ventiduenne non crede al suicidio, anzi una sorella del giovane ha addirittura avanzato il sospetto di un pestaggio compiuto in carcere da parte della polizia penitenziaria. ”E’ così, non crediamo al suicidio. Vogliamo capire se c’è stata istigazione al suicidio, anche a mezzo di pressioni psicologiche”, dice il portavoce della famiglia, Fabio Sillan, cugino di Carlo, che però non parla mai di pestaggio. ”Neppure le modalità del suicidio ci convincono – sottolinea – perché Carlo si sarebbe impiccato ad un letto a castello alto meno di due metri mentre lui era di 172 centimetri”.

Circostanze queste a cui daranno una risposta anche due consulenti della famiglia Saturno: il medico legale Margherita Neri, ed Elio Serra, psichiatra e psicoterapeuta. Di Carlo il cugino ricorda che ”era sempre in guerra con le guardie carcerarie, infatti, il giorno prima di essere trovato in fin di vita, aveva avuto una discussione con un poliziotto penitenziario perché- ci dicono – rifiutava di essere trasferito in un altro padiglione del carcere”.

Aggressione che era costata al ventiduenne l’arresto in flagranza per oltraggio e resistenza a pubblici ufficiali, reato che si aggiungeva a quello di furto per il quale era in carcere. ”Carlo – ricorda il cugino – era irruento, reagiva alle offese. Ha fatto il suo ingresso in carcere la prima volta a 14 anni e da allora è entrato ed uscito dai penitenziari”. Tutto è cominciato nel 2002 quando il papà di Carlo è morto all’eta’ di 39 anni, stroncato da un male incurabile. Alla mamma del giovane – ricorda il portavoce della famiglia – il tribunale per i minorenni ha tolto la patria potesta’ su tutti e sette i figli, che sono stati rinchiusi in istituti e poi affidati a diverse famiglie. Da allora – conclude Sillan – Carlo e suo fratello Ottavio, che è ora agli arresti domiciliari, hanno cominciato a frequentare le patrie galere. Sull’accusa della famiglia di pestaggio in carcere il sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) esprime ”incredulita’, disagio e rabbia”.

Il Sappe afferma che il giovane aveva ”una serie di problemi psichiatrici e per questo veniva seguito dal servizio specialistico del carcere”, inoltre aveva più volte compiuto ”gesti autolesionistici ingoiando lamette, tagliandosi i polsi o tentando il suicidio”. Era, infine, un ragazzo ”solo” perche’ in sei mesi di detenzione a Bari aveva ricevuto una sola visita di un familiare, peraltro sollecitata dal carcere.