Daniela Poggiali condannata a 30 anni per l’omicidio di Massimo Montanari. L’ex infermiera attende ora un altro verdetto

di redazione Blitz
Pubblicato il 15 Dicembre 2020 - 19:06| Aggiornato il 16 Dicembre 2020 OLTRE 6 MESI FA
daniela poggiali, foto ansa

Daniela Poggiali (nella foto Ansa) condannata a 30 anni per l’omicidio di Massimo Montanari

Daniela Poggiali, l’infermieria dell’ospedale “Umberto I” di Lugo in provincia di Ravenna, è stata condannata a 30 anni nel secondo grado di giudizio per omicidio pluriaggravato di un suo paziente.

La vittima, Massimo Montanari, era morto il 12 marzo 2014. Aveva 95 anni.

Secondo quanto ricostruito dall’accusa, Montanari era stato datore di lavoro dell’allora compagno della Poggiali. 

La vicenda è stata raccontata nel libro di Giovanni Valentini “La sirena delle Azzorre”, storia che intreccia romanzo e cronaca, il terzo romanzo polizzesco dell’autore in meno di tre anni uscito la scorsa primavera.

Daniela Poggiali, Massimo Montanari sarebbe stato dimesso il giorno dopo

Massimo Montanari sarebbe stato dimesso dall’ospedale il giorno dopo. E invece l’uomo era morto verso le 23 del 12 marzo 2014 nel quale si trovava ricoverato da alcuni giorni.

Per quel decesso inatteso il Gup, al termine del rito abbreviato ha condannato a 30 anni di reclusione la 48enne ex infermiera. All’ergastolo è stato sottratto un terzo per via del rito alternativo scelto.

All’Ausl, costituitasi parte civile, sono state riconosciute le spese legali. Mentre i risarcimenti dovranno essere quantificati in separata sede del Tribunale.

Assenti sia i familiari del defunto, non costituiti parte civile, che l’imputata. Le motivazioni verranno depositate entro 90 giorni.

Secondo la Procura, quella notte la Poggiali, abusando dei propri poteri di infermiera impiegata nel reparto di Medicina, era entrata nel settore D.

Qui si trovava Montanari.

Approfittando del fatto che la collega a cui era affidato fosse in quel momento impegnata in altro ricovero, si era offerta di sostituirla nel giro delle glicemie.

Alla fine – prosegue l’accusa – nonostante le rimostranze della collega, aveva insistito per somministrare di persona la terapia insulinica ai pazienti del D.

Solo un espediente, secondo gli inquirenti, per potere così entrare nella stanza del Montanari e somministrargli, invece, una dose letale di cloruro di potassio.

Infine era tornata dal paziente ma solo per assicurarsi che fosse morto: ultimo escamotage, sempre per i Pm, al fine di scongiurare manovre di rianimazione.

Il tutto segnato da quattro aggravanti: premeditazione, uso di sostanza venefica, abuso di potere e motivi abbietti.

La vittima era stato datore di lavoro del suo ex compagno

L’ultimo punto fa riferimento al delineato movente di vendicarsi. Secondo la segretaria di Montanari, l’imputata avrebbe cioè dato seguito alla minaccia di morte nei confronti del 95enne pronunciata il 3 giugno 2009. In quell’occasione, racconta la segrertaria, la Poggiali si si sarebbe recata da lei per consegnare un certificato. All’epoca Montanari era il datore di lavoro dell’ex fidanzato.

La segretaria, evidentemente preoccupata, aveva chiesto di non essere portata all’ospedale di Lugo nel caso le fosse accaduto qualcosa.

Daniela Poggiali accusata anche della morte della 78enne Rosa Calderoni

La segretaria aveva rilasciato la sua testimonianza nel corso del processo davanti alla Corte di Assise di Ravenna. Per un’altra paziente che, secondo l’accusa, la Poggiali avrebbe ucciso sempre con una iniezione di potassio.

Si tratta della 78enne Rosa Calderoni di Russi (Ravenna) per la cui morte in primo grado l’imputata era stata condannata all’ergastolo. 

La Poggiali era stata poi assolta da due successivi appelli a Bologna (e dopo il primo scarcerata). Sentenze annullate da altrettante sentenze della Cassazione a Roma.

In attesa del terzo appello

Si è ora in attesa della data dell’appello ter.

Il Procuratore capo di Ravenna, Mancini, oltre a esprimere “soddisfazione ma solo di tipo processuale” per la sentenza, ha sottolineato che dopo il caso Calderoni “l’attenzione dell’Ufficio si era concentrata su 38 casi sospetti”.

I casi erano tutti relativi a pazienti deceduti all’ospedale di Lugo quando era di turno la Poggiali.

La scelta è stata di portare a processo “il caso odierno sul quale abbiamo raccolto elementi che ritenevamo incontrovertibili”.

La difesa ha invece sempre sostenuto l’innocenza della propria assistita (fonte: Ansa, Il Fatto Quotidiano).