Giustizia: carcere solo come extrema ratio. La Riforma della custodia cautelare

di Redazione Blitz
Pubblicato il 14 Aprile 2015 - 07:00 OLTRE 6 MESI FA
Giustizia: carcere solo come extrema ratio. La Riforma della custodia cautelare

Giustizia: carcere solo come extrema ratio. La Riforma della custodia cautelare

ROMA – Giustizia: carcere solo come extrema ratio. La Riforma della custodia cautelare. Il ricorso al carcere, cioè alla custodia cautelare, deve essere solo l’extrema ratio, la soluzione praticabile quando tutte le altre non lo sono più: è il cuore della Riforma appena approvata definitivamente al Senato. La detenzione sarà prioritaria solo per reati di mafia e terrorismo, negli altri reati sarà l’eccezione. E, dice la Riforma, in tutti casi in cui il carcere era obbligatorio, da oggi il giudice dovrà invece motivarne la necessità. I numeri del sovraffollamento delle carceri e le sentenze della Corte di Strasburgo impongono il giro di vite sul ricorso al carcere.

Afferma il Viceministro della Giustizia Enrico Costa: “Il ricorso allo strumento delle misure cautelari è diminuito negli ultimi anni, ma i numeri sono comunque ancora elevati. Nel 2009, il numero dei detenuti in custodia cautelare era di 29.809, pari al 46% del totale; il dato di oggi è di 18.622, il 34,5%. Dal 1991, lo Stato ha pagato quasi 600 milioni di euro a più di 20 mila persone per riparazione per ingiusta detenzione, anche per effetto di sentenze definitive che hanno assolto persone che erano state arrestate. Una situazione che ovviamente si aggrava in misura direttamente proporzionale alla lunghezza dei tempi dei processi”.

Prima del carcere, considerato misura residuale, vanno esplorate tutte le misure coercitive e interdittive a disposizione (che saranno estese e con possibilità di più rinnovi): la custodia cautelare resta comunque solo per i reati sanzionati con un minimo di 5 anni e per il delitto di finanziamento illecito ai partiti. Per quanto riguarda il pericolo di fuga e quello di reiterazione del reato, che rendono praticabile la custodia, è prevista la necessità, oltre che della concretezza anche dell’attualità del pericolo (attualità peraltro già prevista in relazione al pericolo di inquinamento delle prove).

Inoltre, in entrambe le ipotesi, si esclude che le situazioni di concreto e attuale pericolo possano essere dedotte in via esclusiva dalla gravità del titolo del reato per cui si procede: il giudice deve sempre motivare, anche per non risultare appiattito sulle posizioni del pm. Anche la trasgressione lieve della custodia agli arresti domiciliari non vale per sé l’automatico trasferimento in carcere del trasgressore. Giovanni Negri sul Sole 24 Ore spiega cosa cambia nella valutazione dei giudici.

Nel merito, il provvedimento esclude qualsiasi applicazione automatica della custodia cautelare, considerandola la “prima scelta” solo per mafia e terrorismo. In tutti gli altri casi, per i quali oggi è comunque prevista la presunzione dell’adeguatezza del carcere (reati a sfondo soprattutto sessuale), andrà motivata da parte del giudice la necessità della misura.  In generale, per giustificare il carcere, il giudice non potrà avere come punto di riferimento la gravità del delitto e le modalità della sua esecuzione. Per potere privare della libertà una persona, un peso maggiore andrà attribuito a elementi come i precedenti, la personalità, la condotta.

Il Tribunale della libertà avrà poi tempi perentori per decidere e depositare le motivazioni, in caso contrario la misura cautelare perderà di efficacia. Misura che, salvo eccezionali esigenze, non potrà più essere rinnovata. Il collegio del riesame dovrà inoltre annullare l’ordinanza (liberando l’accusato), e non come oggi integrarla, quando il giudice non abbia motivato il provvedimento cautelare o non abbia valutato autonomamente tutti gli elementi. Tempi più certi anche in sede di appello cautelare e in caso di annullamento con rinvio da parte della Cassazione. (Giovanni Negri, Il Sole 24 Ore).