I Jeans di Garibaldi erano blu o grigi? Il museo smentisce Dumas, che li vide grigi, lo scrisse, come l’errore? nel buio di Palermo e Genova

I Jeans di Garibaldi erano blu o grigi? Il museo smentisce Dumas, che li vide grigi, lo scrisse, come l'errore? nel buio di Palermo e Genova

di Sergio Carli
Pubblicato il 25 Dicembre 2022 - 07:32 OLTRE 6 MESI FA
I Jeans di Garibaldi erano blu o grigi? Il museo smentisce Dumas, che li vide grigi, lo scrisse, come l'errore? nel buio di Palermo e Genova

I Jeans di Garibaldi erano blu o grigi? Il museo smentisce Dumas, che li vide grigi, lo scrisse, come l’errore? nel buio di Palermo e Genova

I blu jeans di Garibaldi erano davvero blu? A giudicare dal reperto esposto al museo del Risorgimento a Roma sono senza dubbio blu. O meglio un bluastro che può essere anche essere preso per grigio. Proprio come nei jeans di oggi.

Teniamo presente che il nome del tessuto è jeans. Jeans come Genova, in inglese Genoa, pronunciato Ginoa, come la squadra  di calcio che fu fondata da sportivi inglesi, tecnici e manager emigrati sotto la Lanterna nella seconda metà dell’800.

Blu è il colore che forse più si addiceva a quella rozza tela che a Genova veniva prodotta da centinaia di telai nelle case nascoste nei carruggi (vicoli) o sparse nei monti della riviera. Genova era famosa nel secoli che furono anche per la produzione dei velluti.
Ancora 50 anni fa un giovane cronista trovò in un angolo dell’Appennino a Zoagli, fra Rapallo e Chiavari, una donna avanti d’età, che, forse ultima, ancora tesseva il velluto.

Non è il taglio di Armani e nemmeno quello dei jeans napoletani o cinesi che si trovano sulle bancarelle.
Ma quel che conta è il tessuto, quella stoffa spessa e ruvida perfetta per i pantaloni dei marinai e gli sforzi che dovevano sostenere, al sole come sotto la pioggia e gli schizzi del mare.

La foggia dei pantaloni, larghi in vita, stretti alle caviglie, abbastanza tipico dell’800, sembra anche fare da riscontro a una antica malvagità genovese contro i portuali. Essi venivano sospettati, quando scaricavano caffè o altre preziose derrate, di allargare un po’ la cintura per imbottire i pantofole quel bene.
All’epoca il caffè non si trovava nei supermercati, che non c’erano, già macinato in lattine sotto vuoto. Poche centinaia di grammi comprati in drogheria venivano tostati in casa, con i chicchi ridotti in polvere da un macinino a manovella.

E allora perché Alessandro Dumas, nel suo “Viva Garibaldi” (nella edizione inglese “On board of the Emma”) scrive più di una volta che i pantaloni di Garibaldi erano grigi?
Lo affferma rievocando i giorni passati da Garibaldi a Genova Quarto nella villa Spinola, in attesa di imbarcarsi con i suoi mille (soggiorno che Dumas ricostruisce a posteriori essendo arrivato a Genova quando Garibaldi era già partito).
Lo ribadisce descrivendo il suo incontro con Garibaldi a Palermo: a notte fatta. Così, col buio di una notte in piena guerra, si spiega l’errore di Dumas.
Un jeans un po’ scolorito dall’uso prolungato stinge nel grigio.
E Garibaldi non cambiava certo d’abito ogni giorno. L’esemplare conservato al Museo del Risorgimento, nel Vittoriano, è anche ornato di una vistosa toppa, seppur rigorosamente in tela di jeans. L’eroe dei due mondi non ha mai nuotato nell’oro. Fu abituato alla parsimonia dalla dura vita dei marinai del passato. E forse un po’ c’è l’aveva nel sangue: il padre veniva da Chiavari, la madre da Loano.