Licenziato per una pausa caffè di troppo. Cassazione: “Giusta causa”

Pubblicato il 28 Marzo 2013 - 17:00| Aggiornato il 22 Novembre 2022 OLTRE 6 MESI FA

PALERMO – Un caffè di troppo. Pagato a caro prezzo, carissimo: il posto di lavoro. E’ successo a un dipendente siciliano del Credito Emiliano, licenziato perché aveva preso una pausa caffè extra durante il turno di lavoro. Licenziamento ora diventato definitivo dopo che al lavoratore è stato dato torto sia in Appello sia in Cassazione. 

Non si tratta, in 0gni caso, di un semplice licenziamento per un caffè di troppo. Il bancario, ricorda il Corriere della Sera,

era stata licenziato perché si era rifiutato di effettuare un’operazione complessa richiesta da un cliente, e poi, a distanza di sei giorni, aveva lasciato la cassa aperta ed i soldi incustoditi, con una eccedenza di 500 mila lire, allontanandosi per andare al bar senza aver prima registrato l’ultima operazione. Una prima volta era stato reintegrato dal giudice del lavoro e dalla Corte d’Appello di Catania.

Ma nel 2008 la Suprema Corte aveva però spiegato che «la giusta causa di licenziamento di un cassiere di banca, affidatario di somme anche rilevanti, dev’essere apprezzata con riguardo non soltanto all’interesse patrimoniale della datrice di lavoro, ma anche alla potenziale lesione dell’interesse pubblico alla sana e prudente gestione del credito». E con questa motivazione aveva rinviato il caso alla corte d’Appello di Caltanissetta, che, nel 2010, ha dichiarato legittimo il licenziamento.

Davanti a tutto questo il bancario si era difeso opponendo “la prassi”, ovvero il fatto che era normale fermarsi qualche minuto per una pausa in più. Argomentazione che non ha convinto i giudici di Cassazione che hanno confermato il licenziamento.