REGGIO EMILIA – Luca Aleotti era accusato di aver minacciato su Facebook la giornalista del Resto del Carlino Benedetta Salsi con minacce di stampo islamico. Ma Facebook, nonostante la richiesta del pm, ha deciso di non oscurare la pagina del social. Ora i giudici dovranno decidere se ricorrere addirittura ai tribunali internazionali, qualora dovesse essere ravvisata la minaccia di terrorismo.
Racconta Franco Giubilei su La Stampa:
E dire che i reati contestati, di cui Facebook si è fatto veicolo ospitando i profili “Musulmani d’Italia” e “Islam Italia”, non sono leggerissimi: si parla di minacce aggravate e diffamazione per una serie di frasi rivolte contro Benedetta Salsi, redattrice del Resto del Carlino di Reggio, “colpevole” di aver raccontato sul suo giornale la storia di Luca Aleotti. Trentatreenne disoccupato, di padre italiano e madre maghrebina, era stato indagato per terrorismo dalla procura di Bologna per alcune frasi pubblicate su internet dopo gli attentati di Parigi, come “non esiste nessun Islam laico o moderato, esiste solo la sottomissione ad Allah”, sotto lo pseudonimo Saif-Allah, cioè spada di Dio. Ad Aleotti (seguito dai servizi sanitari), è stata poi applicata una misura di sorveglianza speciale per atti di stalking inflitti alla sua ex compagna e per aver aggredito un agente. Così, oltre all’obbligo di firma e di dimora in città e al ritiro del passaporto, non può uscire di casa la sera, né frequentare bar o locali affollati. In sostanza gli è vietato di fare vita sociale, ma solo nell’accezione tradizionale del termine, perché sul social per antonomasia, può continuare a comunicare quel che vuole con chi gli pare, oltre a raccogliere “mi piace” sulla sua pagina, che negli ultimi giorni hanno superato quota 11mila.
La giornalista commenta il rifiuto di Facebook: «E’ più tutelata la libertà di espressione di Aleotti della mia dignità personale». Benedetta Salsi ripercorre le tappe della vicenda: «La mattina della pubblicazione del mio articolo, sulla pagina Musulmani d’Italia compare un post. C’è la mia fotografia rubata da Twitter e un testo con il mio nome, cognome, età, luogo in cui lavoro. Sono indicata come “islamofoba”, poi pesanti calunnie e invenzioni riguardanti la mia sfera personale e intima, allusioni sessiste e volgarità». Al termine del messaggio, la minaccia: «Per lo statuto giuridico islamico questi atti sono punibili severamente». Ne sono seguite la querela alla Digos e l’apertura di un fascicolo da parte della pm Maria Rita Pantani per minacce aggravate e diffamazione attraverso mezzi di comunicazione di massa. Poi la richiesta della magistratura al colosso californiano di prendere provvedimenti, e il no del social