Massimo D’Anzuoni, vittima mancata. Socio di Giardiello, era a casa non in aula

di Redazione Blitz
Pubblicato il 10 Aprile 2015 - 09:36 OLTRE 6 MESI FA
Massimo D'Anzuoni, vittima mancata. Socio di Giardiello, era a casa non in aula

Massimo D’Anzuoni, vittima mancata. Socio di Giardiello, era a casa non in aula (foto Ansa)

MILANO – Massimo D’Anzuoni è la vittima mancata della strage del tribunale di Milano. D’Anzuoni era l’ultimo della lista di Claudio Giardiello, che di morti ne ha fatti tre. E che è stato bloccato in fuga a Vimercate, di passaggio mentrestava andando a uccidere proprio il suo ex socio. E’ lo stesso D’Anzuoni, come riporta il Corriere della Sera, a ringraziare il suo avvocato: si è salvato perché il legale che lo assiste si è recato in tribunale al posto suo. D’Anzuoni infatti era imputato nello stesso processo in cui era imputato Giardiello.

Giardiello era diretto a Carvico (Bergamo), dove era D’Anzuoni, suo socio di minoranza in una società e coinvolto nel processo di oggi per fallimento fraudolento e alla cui udienza non si era presentato. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti fino ad ora, Giardiello incolpava i suoi soci dei vari fallimenti e voleva “eliminare tutti coloro che mi hanno rovinato”, come lui stesso ha detto ai carabinieri in fase di arresto. È proprio per imboccare l’autostrada in direzione Bergamo che Giardiello era arrivato in scooter a Vimercate, da dove vicino al centro commerciale “Torri Bianche” si accede al raccordo con la A4.

D’Anzuoni aveva patteggiato una condanna a tre anni e un mese. D’Anzuoni, 51 anni, nativo di Senago (Milano) e residente a Carvico, di professione geometra e titolare di varie società immobiliari (molte delle quali in fallimento) con sede a Milano, era stato arrestato nel maggio del 2013 e nell’ottobre dello stesso anno aveva patteggiato in tribunale a Milano. Assieme a lui erano state arrestate altre sette persone, tra cui imprenditori e membri della Giunta municipale di Trezzano Sul Naviglio (Milano), oltre al comandante della polizia locale della cittadina milanese: l’accusa per tutti era quella di un presunto giro di tangenti in particolare per la realizzazione di un’area commerciale inserita nel Piano di governo del territorio. Inizialmente in carcere, a D’Anzuoni erano poi stati concessi i domiciliari. Il cinquantunenne non si era presentato in udienza in tribunale per il fallimento della società che lo vedeva socio assieme a Giardiello, e dunque quest’ultimo avrebbe deciso di raggiungerlo a casa, a Carvico appunto, ma è stato fermato dai carabinieri prima di arrivare nella Bergamasca.

Il Corriere della Sera fornisce ulteriori dettagli sul processo in corso: “Come sia andata davvero lo dirà il processo che è in corso. Quel che si sa è che la storia inizia nel 2002 e ruota attorno a due palazzine in via Biella, a Milano. L’immobile lo costruisce la Miani Immobiliare, società che fa capo per un 75% alla Cisep, in cui ha delle quote D’Anzuoni, e per il restante 25% alla Magenta immobiliare di Giardiello e Limongelli. La Magenta verrà dichiarata fallita nel 2008 ma sono i passaggi che portano al fallimento a scatenare, probabilmente, la rabbia di Giardiello”.

Soldi in nero. L’accordo prevedeva infatti che la Miani corrispondesse alla Magenta un 3% sugli appartamenti venduti. Soldi che, dice oggi l’avvocato di D’Anzuoni, vengono regolarmente versati. Ma il punto è un’altro: secondo l’accusa quel 25% di quota della Magenta serviva in realtà per far girare il «nero», che poi i soci si spartivano secondo accordi ben precisi. In sostanza, i soldi che venivano corrisposti al compromesso, al rogito sparivano e finivano nella contabilità occulta.

L’intesa scricchiola. L’intesa comincia a scricchiolare già nel 2004 ma alla fine i soci trovano una sorta d’accordo che prevede che ognuno rimetta la sua parte nella società. D’Anzuoni, sostiene sempre l’avvocato, è l’unico che lo fa. E così salva la Miani, mentre la Magenta comincia ad andare a fondo. Anche perché, e siamo a fine del 2006, Giardiello, che era socio di maggioranza, estromette dalla gestione societaria il nipote, che era l’amministratore. E da quel momento, sostiene D’Anzuoni, i soldi invece che nelle casse della società finiscono tutti nelle tasche del killer, fino al fallimento che arriva nel 2008.