Morto Cancemi, il primo pentito di mafia che parlò di Berlusconi

Pubblicato il 27 Gennaio 2011 - 19:45 OLTRE 6 MESI FA

All’alba di un giorno di luglio del 1993, dopo una latitanza durata anni, bussò alla caserma dei carabinieri di piazza Verdi, a Palermo, e si consegnò. Disse di temere per la propria vita, di aver paura che Bernardo Provenzano, che lo aveva formalmente convocato per chiedergli conto di alcune sue prese di posizioni sulle strategia stragista, lo volesse far fuori. Perciò Salvatore Cancemi, ex boss di Porta Nuova morto il 14 gennaio scorso per un ictus (la notizia si è appresa oggi), primo collaboratore ad accusare il presidente del Consiglio Berlusconi di rapporti con la mafia, avrebbe preferito lo Stato ai clan.

Ma la versione sulle ragioni della svolta del pentito Omega, così lo chiamarono in codice i pm, non convinse molto gli investigatori, che a lungo restarono scettici anche sulla sua attendibilità. Ai carabinieri, l’uomo che prese il posto di Pippo Calò alla guida di uno dei mandamenti più importanti di Palermo , diede, almeno in principio, una versione assai soft del suo ruolo in Cosa nostra. Omettendo la sua partecipazione ad omicidi e, soprattutto, alle stragi del ’92.

A un avvocato che gli rimproverava omissioni e reticenze, rispose in aula: ”io non sono un sacco che si svuota, ma una vite arrugginita che si svita lentamente”. E per far fare il giro completo alla vite dei ricordi di Salvatore Cancemi, Totò Caserma, così era soprannominato, ci sono voluti anni e le dichiarazioni di altri pentiti come Ganci, Di Matteo e Ferrante. Inchiodato dagli ex ”commilitoni”, Omega, per anni componente della Commissione di Cosa nostra, ammise delitti come quello dell’eurodeputato dc Salvo Lima e le stragi di Capaci e Via D’Amelio, seppure cercando di ridimensionare il suo ”apporto”.

In carcere, però, il primo pentito a parlare dei mandanti occulti degli eccidi del ’92, non ha passato nemmeno un giorno. Restano memorabili alcuni suoi confronti nelle aule di giustizia: come quello col boss Pippo Calò. O col finto collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino, ora sospettato di un clamoroso depistaggio delle indagini per l’eccidio del giudice Borsellino. ”Tu non sei mafioso – disse Cancemi al ‘picciotto’ della Guadagna – Non parli con un linguaggio mafioso, sei la vergogna dell’Italia, chi ti ha messo in bocca le cose che stai dicendo, tu non sai che cosa significa ‘uomo d’onore’, tu sei un bugiardo”.

Ma anche sulla sua di attendibilità i magistrati si sono interrogati. Decine di sentenze gli hanno creduto. Ma non mancano i provvedimenti in cui la sincerità di Cancemi è messa in serio dubbio. Il gip di Caltanissetta Tona, ad esempio, nel provvedimento di archiviazione delle indagini su Berlusconi e sul senatore Dell’Utri, nell’ambito dell’inchiesta sui mandanti occulti delle stragi del ’92, definì le sue dichiarazioni ”anguillose” e ”viziate dalla costante propensione ridimensionare il proprio ruolo nei reati contestatigli”. Cancemi è morto solo. Avrebbe compiuto 69 anni a marzo. Era malato da tempo di tumore, ma lo ha stroncato un ictus. Nessuno dei suoi familiari aveva condiviso la sua scelta e l’aveva seguito lontano dalla Sicilia.