‘Ndrangheta: il paese applaude il boss Tegano in manette

Pubblicato il 27 Aprile 2010 - 11:28 OLTRE 6 MESI FA

Il boss Giovanni Tegano arrestato a Reggio Calabria

“Giovanni uomo di pace”: così, scandito più volte, è stato salutato il trasferimento del boss Giovanni Tegano dalla Questura verso il carcere da decine e decine di persone, parenti e conoscenti del boss arrestato lunedì sera. Lo hanno applaudito a lungo mentre veniva portato via sotto scorta dalla questura di Reggio Calabria. Non si sono comunque registrati problemi di ordine pubblico e subito dopo il trasferimento l’assembramento di persone dinanzi alla Questura si è autosciolto. Giovanni Tegano, indossava un vestito di velluto verde e una camicia quadrettata. Agli indirizzi di saluto dei parenti ha risposto alzando la mano e con molta calma si è diretto verso l’autovettura che lo attendeva accompagnato da due agenti della sezione catturandi completamente mimetizzati.

Ma chi è Giovanni Tegano? ”Sicuramente uno dei capi storici della ‘ndrangheta di Archi. Ovvero, uno dei pezzi da novanta della ‘ndrangheta calabrese. Perché la modernizzazione della ‘ndrangheta calabrese prende avvio proprio dal quartiere alla periferia nord di Reggio Calabria”. E’ questa la sintesi di uno dei segugi che per lungo tempo hanno inseguito Giovanni Tegano.

“Lì sono nati – aggiunge – Giorgio, Paolo, Giovanni e Orazio De Stefano, i prime tre assassinati in agguati di mafia, Orazio, adesso, in carcere per scontare una lunga pena detentiva. Lì sono nati Pasquale ‘il supremo’ Condello e il fratello ‘Mico u pacciu’, attuale reggente della cosca tutt’ora latitante dopo l’arresto di Pasquale”.

Ma Archi è anche il luogo di nascita dei Barbaro, dei Fontana, degli Schimizzi, dei Saraceno, dei Martino, tutte ‘famiglie’ che sono state il cemento della potenza mafiosa espressa dai De Stefano in Italia e non solo, per tutti gli anni ’70 e gli anni ’80. Le loro storie sono state raccolte puntigliosamente nell’operazione ‘Olimpia’ negli anni ’90, e prima ancora, nel processo a Paolo De Stefano ed altri 60 imputati, indagini coordinate dal vecchio pool antimafia guidato dall’ex procuratore aggiunto Salvatore Boemi e composto dai giudici Franco Mollace, Alberto Cisterna, Vincenzo Macrì, Giuseppe Verzera e Roberto Pennisi.

In quelle pagine sono fotografate le vicende criminali di un casato mafioso che parlava ‘alla pari’ con Nitto Santapaola, che ‘coordinava’ i rami milanesi dell’organizzazione, come i Coco Trovato e i Flachi. Gli ‘arcoti’ avevano anche un forte ascendente sulla camorra napoletana e sulla banda della Magliana, tant’é che lo stesso Raffaele Cutolo fu ‘fatto cristianu’, cioé battezzato con i rituali della ndrangheta, sul terrazzo di un’abitazione ad Archi durante i festeggiamenti mariani in onore della Madonna del Carmine che si tengono ogni anno a settembre in quel quartiere.

Al vertice della cosca in quel periodo – siamo nei primi anni ’70 – stava Giorgio De Stefano, fresco e giovane vincitore della guerra contro il clan del vecchio patriarca Mico Tripodo. Giorgio De Stefano, forse perche’ diventato troppo potente troppo presto, viene assassinato a soli 42 anni, in un agguato mafioso nel novembre del 1977 nei pressi di Gambarie d’Aspromonte. L’episodio aprì una profonda crepa nei sempre labili equilibri della ndrangheta reggina e calabrese. Si parlò di intrecci politico-mafioso, di ruoli di massoneria deviata, di un mitico borsellino che Giorgio De Stefano portava sempre con se e mai più ritrovato in cui trovava posto una ‘superagenda’ dov’erano riportati i numeri telefonici diretti di imprenditori di livello nazionale e uomini degli apparati Stato inquinato dalla Loggia P2.

Nei ‘ragionamenti’ di ndrangheta che seguirono all’agguato, si disse anche che il fratello del boss assassinato, Paolo, pretese la testa tagliata del presunto killer in segno di vendetta. Ma da quel novembre 1977, i rapporti all’interno della cosca De Stefano e nel reggino cominciarono a vacillare. Fino al 10 ottobre 1985, quando le giovani leve del clan guidate da Pasquale Condello ‘il supremo’ uscirono allo scoperto uccidendo Paolo De Stefano ed un suo guardaspalle ad Archi, mentre, da latitanti, percorrevano a bordo di una moto le stradine interne del quartiere. Da quel giorno si aprì uno scontro violentissimo tra i così detti ‘scissionisti'(Condello-Imerti-Serraino) e la galassia destefaniana (Tegano-Libri-Latella) che causò a Reggo Calabria e nel suo hinterland quasi mille morti ammazzati.

La ‘pace’ tra le fazioni in lotta, fu siglata per l’intervento dei capi cosca più potenti della Calabria – Mammoliti, Alvaro, Barbaro, Papalia, Pelle e Nirta – e di Cosa Nostra, che riuscirono a placare gli animi per salvaguardare gli ‘affari’, ‘pace’ che, avrebbe trovato il sigillo di sangue con l’omicidio del sostituto procuratore generale della Cassazione, Antonino Scopelliti, ucciso nel pomeriggio del 9 agosto del 1991 mente rientrava dal mare nella sua casa paterna di Campo Calabro, poco sopra Villa San Giovanni. Giovanni Tegano, catturato ieri in casa di ‘amici’ nella frazione preaspromontana di Terreti, è sicuramente stato uno dei protagonisti principali degli ultimi 40 anni di storia della ndrangheta reggina.