Stefano Cucchi, sospesi dal servizio i tre carabinieri rinviati a giudizio Stefano Cucchi, sospesi dal servizio i tre carabinieri rinviati a giudizio

Stefano Cucchi, sospesi dal servizio i tre carabinieri rinviati a giudizio

ROMA – Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, i tre carabinieri rinviati a giudizio per la morte di Stefano Cucchi, sono stati sospesi dal servizio, con lo stipendio dimezzato. La decisione, spiega Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera, è stata presa dal comando generale dell’Arma, che ha ritenuto “doveroso” prendere questa misura “precauzionale” dopo il rinvio a giudizio per omicidio preterintenzionale da parte della Procura di Roma.

I carabinieri scelti Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro e il vice-brigadiere Francesco Tedesco sono accusati di omicidio preterintenzionale nell’ambito del processo sulla morte del giovane geometra romano, deceduto il 16 ottobre 2009 mentre era in stato di fermo in caserma.

Spiega il Corriere della Sera:

Secondo l’accusa, il 16 ottobre 2009 i tre carabinieri, «dopo aver proceduto all’arresto di Stefano Cucchi nella flagranza dei delitti di illecita detenzione e cessione di sostanze stupefacenti, e dopo aver eseguito la perquisizione domiciliare, in concorso tra loro, colpendo Cucchi con schiaffi, pugni e calci, fra l’altro provocandone una rovinosa caduta, cagionavano al predetto lesioni personali in parte con esiti permanenti, ma che nel caso di specie, unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura il Cucchi presso la struttura protetta dell’ospedale Pertini di Roma, ne determinavano la morte». Avvenuta una settimana dopo l’arresto, il 22 ottobre.

Ai tre militari viene contestato l’omicidio preterintenzionale aggravato dai futili motivi, dall’abuso di potere e per aver “approfittato di circostanze di tempo, luogo e persona tali da ostacolare la privata difesa”.

Altri due carabinieri, il maresciallo capo Roberto Mandolini e l’appuntato scelto Vincenzo Nicolardi, sono accusati di calunnia perché, testimoniando il falso al processo contro gli agenti della polizia penitenziaria, “implicitamente accusavano” le persone rinviate a giudizio dopo la prima inchiesta, poi assolte con sentenza definitiva. A differenza dei tre colleghi, però, loro sono tutt’ora in servizio.

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