AMATRICE (RIETI) – “Miglioramento sismico” e “adeguamento sismico”: il crollo della scuola Romolo Capranica di Amatrice (Rieti) potrebbe essere dovuto proprio alla differenza che c’è tra questi due termini. L’edificio, eretto negli anni Trenta, ristrutturato una prima volta nel 1945 e poi ampliato negli anni Settanta, nel 2012 era stato sottoposto a sei mesi di lavori, costati 600mila euro, per ottenere, appunto, un “miglioramento sismico”. Che ha comportato quello che è sotto gli occhi di tutti: il crollo dell’intero edificio, fatta eccezione per la parte aggiunta negli anni Settanta. E adesso Comune e Regione si rimpallano la responsabilità.
Le polemiche di queste ore si riferiscono però al 2011, quando la giunta di Amatrice chiese un finanziamento «per interventi di varia natura, non necessariamente antisismici» di 723.139,65 euro sulla base della legge regionale 12/1981. La Regione ne stanziò 614.668,70 euro. E se fu il Comune a ripartirli in una serie di lavori di carattere generale, come «la sostituzione degli infissi interni ed esterni e il rifacimento dell’impianto di riscaldamento», più una parte destinata a un intervento di tipo antisismico, limitato alla sostituzione del vecchio solaio dell’edificio centrale, d’altra parte, assicurano dal Comune, il lavoro fu collaudato e ricevette la «bollinatura» del Genio Civile regionale. Ma dagli uffici tecnici della Regione qualcuno fa notare che il tipo di lavori da fare è una scelta del Comune e che mettere in sicurezza la scuola forse avrebbe comportato un’opera di «adeguamento», come incatenare all’interno la struttura con barre metalliche.
Anche il successivo intervento, deciso dal Comune con 200mila euro di fondi provinciali, fu solo di “miglioramento sismico”, e non di “adeguamento”. Servì per “fasciare alcuni pilastri, allargare le fondamenta e infine rafforzare le mura attraverso sistemi di tamponatura”, e non nella parte antica dell’edificio, scrive Falci sul Corriere della Sera.
La gara fu vinta dalla Valori Scarl, consorziata dell’impresa Edilqualità srl e riconducibile all’imprenditore di Patti, Pietro Tindaro Mollica, più volte coinvolto in vicende giudiziarie senza riportare condanne. E in seguito a un’interdittiva della Prefettura di Roma le sue aziende furono reintegrate prima dal Tar, poi dal Consiglio di Stato. «Se emergeranno responsabilità, qualcuno dovrà pagare — ha detto ieri il sindaco —. Intanto io mi sono costituito parte civile. Anche il governo dovrebbe farlo».