Umiltà non è umiliazione. Valditara, Cgil, scuola, sinistra: parole e significati perduti e ignoti

Umiltà è cosa buona e giusta e ce n'è poca e in via di estinzione. Umiliazione è cosa violenta e quindi ce n'è domanda e richiesta. Il ministro Valditara, la Cgil, la scuola, quel che chiama sinistra se stessa: parole e significati tra il perduto e l'ignoto.

di Riccardo Galli
Pubblicato il 25 Novembre 2022 - 09:53 OLTRE 6 MESI FA
Umiltà umiliazione Valditara

Umiltà non è umiliazione. Valditara, Cgil, scuola, sinistra: parole e significati perduti e ignoti (foto ANSA)

Umiltà è cosa buona, utile e saggia e necessaria. E ce n’è molto poca in giro. Viene cacciata, bandita, derisa. Ogni giorno, ogni minuto della nostra vita collettiva vede la caccia di sterminio all’umiltà. In tv, sui social, al bar, nel gergo in cui si esprime il sentir comune e diffuso da influencer di ogni tipo (la pedagogia sociale è sempre la stessa e dominante: umiltà è debolezza, handicap, punizione, inciampo). In una società che si ripete la giaculatoria magica “insegui e raggiungi i tuoi sogni sempre e comunque” l’umiltà è un sabotatore, per di più alleato con la realtà. Umiltà è cosa buona e umiltà in giro non c’è, è in via di estinzione e il cittadino brava gente la vuole estinta. Umiliazione è cosa cattiva, violenta. Quindi in giro ce n’è eccome. Umiliazione Tizio prova a infliggerla a Caio e Caio a infliggerla a Tizio e Sempronio li aspetta entrambi al varco. Umiliazione, dare umiliazione all’altro è roba da forti, è un piacevole step nel “raggiungere i propri  sogni”.

Parole e significati perduti e ignoti

Valditara ministro ha usato a sproposito umiliazione mentre doveva dire (voleva dire?) umiltà. Poi se ne è scusato, ma resta il dubbio di un politico freudiano lapsus. E comunque un ministro dell’Istruzione, peraltro non poco pubblicamente loquace, ha l’obbligo professionale di padroneggiare concetti, parole e significati relativi. Obbligo inderogabile. La sinistra politica e per così dire culturale questo obbligo non l’hanno più da tempo. Se ne sono disfatte. Equiparare umiltà, pedagogica umiltà, a repressione e discriminazione è drammaticamente ridicolo. Drammaticamente ridicolo come raccontare che collegare scuola e lavoro equivale a mandare giovani ad un lavoro schiavile dai “padroni”. Drammaticamente ridicolo come vibrare di indignazione per l’ipotesi di “lavori socialmente utili” per il vandalo di attrezzi scolastici. Perfino l’antico, ovvio, sano e democratico (sì, democratico) se sfasci una finestra della scuola e cioè un bene di tutti poi la collettività ti chiede e obbliga a ripararlo, a riparare la finestra, perfino questo viene raccontato come barbara legge del taglione. La Cgil scuola non conosce e pratica altre parole, significati e concetti che non siano quelli del monopolio sindacale della gestione servizio pubblico scuola, cioè la scuola al servizio di chi ci lavora e non di chi ci studia. Una ragione, sia pur corporativa, per il su vocabolario sociale distorto e monco c’è. La sinistra invece, quel che sinistra chiama se stessa invece porta sempre più a perfezionamento un singolare fenomeno socio culturale: una volta era custode, guardiana e maestra di virtù sociali quali la frugalità, l’osservanza delle regole, le gerarchie istituzionali. Se ne sentiva protetta, sentiva che le regole, se rispettate, proteggevano o deboli e sentiva che fuori della regola cercano di andare i forti e i ricchi. Ora invece quel che chiama se stessa sinistra ama farsi custode e guardiana e pulpito di vizi sociali, primo far tutti la dismissione e il rifiuto di ogni responsabilità rispetto alle proprie azioni. Rifiuta e respinge niente meno come repressione l’umiltà dell’ammettere e pagare pubblicamente non l’errore ma la violazione della regola. Identifica libertà con licenza, proprio come faceva e ha fatto per lungo tempo la pedagogia sociale delle destra, dei “padroni”. Quanto al ministro Valditara, faccia. Un bel silenzio non fu mai scritto e il suo tanto dire ha il forte sapore di una sfida mediatica, scelta furbetta in presenza di impotenza/rassegnazione reale a metter mano nella scuola reale.