Sono morti asfissiati dal gas in uno dei “tunnel del contrabbando” che dalla Striscia di Gaza portano in Egitto merci, armi, generi di prima necessità. Uccisi da una pratica ‘dissuasiva’ che, a parole, era stata abbandonata due anni fa, dopo una pioggia di proteste.
Per la morte dei quattro contrabbandieri Hamas, che controlla la Striscia, punta l’indice contro le forze egiziane, “colpevoli – sostengono i megafoni del movimento islamico – di eccidio a sangue freddo”.
In 10 si sono salvati, ma sono tornati alla luce intossicati o feriti. Tutti, comunque, hanno inalato gas nocivo.
Sulle cause le versioni divergono. A Gaza si dà per certo la strage sia stata provocata da una qualche sostanza venefica pompata giorni fa dalle guardie di frontiera egiziane per rendere impraticabili le gallerie: una sorta di misura deterrente a cui ieri si sarebbero aggiunti un bombardamento d’artiglieria e il conseguente crollo di una volta.
Fonti ufficiali del Cairo, invece, pur confermando la “distruzione di quattro tunnel illegali” nelle scorse ore, negano qualsiasi coinvolgimento dell’Egitto nell’uso di gas, e attribuiscono la morte dei quattro allo scoppio di bombole di butano trasportate dagli stessi palestinesi.
La rabbia dei gazewi contro i vicini egiziani però continua a crescere, trascinata dalla dichiarazioni di fuoco dei rappresentanti di Hamas. Un portavoce, Fawzi Barhum, denuncia l’accaduto come “un terribile crimine commesso dalla sicurezza egiziana contro semplici lavoratori palestinesi che cercavano di guadagnare il loro tozzo di pane quotidiano; un eccidio a sangue freddo che Hamas e tutto il popolo palestinese condannano”. Un altro, Sami Abu Zuhri, addebita al Cairo “la piena responsabilità del sangue di queste vittime”, chiede alle autorità egiziane di “indagare e di portare i colpevoli di fronte a un tribunale” e sentenzia: “La soluzione (per far cessare il contrabbando) non è uccidere civili innocenti, ma aprire i passaggi di confine”.
I tunnel, nella percezione del milione e mezzo di persone che vive nella Striscia, rappresentano la risposta disperata al cordone imposto attorno all’enclave fin dall’ascesa al potere di Hamas nel 2007. Attraverso i loro budelli transitano armi e munizioni, come denunciano da tempo gli israeliani, ma anche materiale di base, ricambi, cibo, carburante, persino capi di bestiame.
Spesso sono l’unica alternativa al blocco di Israele in risposta ai lanci di razzi e agli attacchi ripetutamente subiti dai miliziani islamici negli ultimi anni. Ma attuato ora con crescente rigore anche a sud, all’altezza di Rafah, lungo il piccolo tratto di confine con l’Egitto: il cui governo, irritato dalla linea oltranzista di Hamas e preoccupato per le infiltrazioni dal territorio palestinese (e dai rischi di saldatura con l’opposizione integralista egiziana), non ha esitato di recente ad avviare la costruzione di una barriera d’acciaio sotterranea. Che, in attesa d’essere completata, non ha potuto impedire ieri a un pugno di sventurati di sfidare tragicamente la sorte.