Somalia, il business della pirateria: un affare da 8 miliardi di euro

Pubblicato il 19 Maggio 2011 - 08:10 OLTRE 6 MESI FA

GOLFO DI ADEN – I pirati sembrano aver fatto storia, e oggi il problema della pirateria è più che mai attuale. Dopo secoli di gloriose e crudeli imprese non si trovavano più che nei libri per bambini, nei film di Hollywood e in uno sfumato immaginario collettivo, strappati via dalla scottante attualità della storia, appartenendo al mondo rassicurante delle icone inoffensive, alla stregua di un Che Guevara. Dalla fine dell’800 ad oggi, dall’Isola del Tesoro fino ai Pirati dei Caraibi, il pirata è diventato sempre più una figura romantica, a volte estetica, a volte politica, amata dai bambini come dai contestatori politici degli anni 70.

Così sembrava, fino a quando, pochi anni fa, l’Europa e il mondo hanno riscoperto il dramma antico della pirateria. Nel Golfo di Aden, sulla costa meridionale della Somalia, pescatori senza più lavoro, spinti dalla miseria e dall’anarchia vigente nel paese, si sono convertiti all’antico mestiere dei corsari ed hanno cominciato ad assaltare le navi di passaggio, i grandi cargo diretti dall’Oceano Indiano verso il Mediterraneo. I loro successi sono stati clamorosi e fulminanti.

E mentre nei miserabili villaggi della costa somala spuntavano ville, macchine lussuose ed un confort mai visto in queste terre di fame e guerra, le imbarcazioni per gli attacchi corsari diventavano sempre più equipaggiate, e le armi sempre più potenti. E la pirateria somala diventava, a rapidi passi, quello che è oggi, un gigantesco business.

Nel 2010 questo business ha fruttato 8,3 miliardi di euro. Solo nel primo quarto del 2011, i pirati hanno attaccato 117 navi, ucciso 7 marinai, tenuto prigionieri 338 ostaggi. Gli sforzi della comunità internazionale per arginare il preoccupante fenomeno sono stati totalmente vani. L’«Operazione Atlanta», sotto l’egida dell’Unione Europea, è una vasta operazione militare con decine di fregate e cacciatorpedinieri che pattugliano la zona per proteggere e soccorrere le navi di passaggio.

Ma l’Oceano Indiano è una fetta di mondo troppo larga per poter esser controllata, anche da una superpotenza. Quando la nave da carico tedesca Beluga Nomination è stata attaccata dai pirati, la truppa si è nascosta in una «safe room» – una stanza blindata concepita per questo genere di evenienza – ed ha dato l’allarme. Ci sono volute ben 72 ore perché una delle navi di «Atlanta» abbia potuto accostare la nave tedesca, con conseguenze tra l’altro disastrose.

Le grandi compagnie marittime non hanno ormai più scelta. Se voglio attraversare il Golfo di Aden devono spendere milioni in costosissimi equipaggiamenti militari ed in assicurazione dai prezzi esorbitanti. Molti stanno però scegliendo una soluzione che, fino a qualche anno fa, sarebbe sembrata folle: allungare il viaggio di diverse settimane, e circumnavigare l’Africa, ritornando in qualche modo alla situazione precedente la creazione del Canale di Suez. E’ probabile che saranno sempre più numerose le navi da cargo a scegliere questa opzione.

Secondo alcuni esperti di geopolitica, la pirateria delle acque somale è destinata ad aumentare. Il commercio è sempre più lucroos: i riscatti pagati nel 2010 ammontano a 238 milioni di dollari. Inoltre, l’entroterra somalo costituisce una riserva inesauribile di manodopera. La povertà e la disparità tra pirati e non-pirati sono una potente molla per l’espansione del fenomeno. Un uomo somalo guadagna in tutta la sua vita 14.500 dollari quando un pirata, in cinque anni, si mette da parte gruzzolo sui 200.000 dollari.