Slab City: città dell’Apocalisse, rifugio dei “martiri della crisi”

Pubblicato il 13 Ottobre 2011 - 17:30 OLTRE 6 MESI FA

SLAB CITY, CALIFORNIA – Benvenuti a Slab City: se qui cercate il futuro, deve piacervi l’Apocalisse. Ed è qui che si sono rifugiate le “vittime della crisi economica”. Questa città informale, situata nel Nord-est della California, potrebbe servire da set per un film sul futuro dell’umanità il giorno seguente la guerra nucleare. La civiltà come l’abbiamo intesa non si trova qui. Niente acqua corrente, niente polizia, niente fogne, niente posta, niente elettricità. Nulla di tutto ciò che fa, secondo la nostra visione, una città.

Slab City è una città per gente dura, o disperata. Fondata negli anni cinquanta, fino a qualche anno fa questo accampamento ha per lo più attirato hippy o miserabili. I figli dei fiori affiancavano i reietti della società, spesso storie alle spalle di alcolismo o droga. Oggi, le cose cambiano. Slab City, situata subito dopo il confine della civiltà, attira sempre di più le vittime della recessione che cercano rifugio o sollievo dalla spietatezza della società.

La storia di George Arranco, ex marine, con un passato di centinaia di lavoretti e nessuna specializzazione, può essere quella di molti altri. La fabbrica dove lavorava a San Diego ha chiuso, facendogli perdere il suo lavoro. Dopo il lavoro Arranco ha perso la casa, non potendo pagare l’affitto. E’ andato a dormire allora nella sua macchina. Fino a quando la città gli ha confiscato anche la macchina quando il prezzo dei parcheggi è schizzato alle stelle (migliaia di dollari per un anno).

Spinto sempre più fuori dallo spazio normale della società, Arranco ha deciso di andarsene da solo, piuttosto che di continuare a farsi buttare via a calci. Con un trabiccolo di fortuna, trovato per strada abbandonato e riparato alla bell’e meglio, con una compagna (che presto l’ha lasciato) e con cinque chihuaua, ha premuto l’acceleratore e si è diretto verso est, dove le strade finiscono e dove comincia il deserto. E’ qui che sorge Slab City, dove Cristo non è mai arrivato.

Slab City non può essere definita una città, ma solo il simulacro di una comunità urbana. Un tempo, negli anni cinquanta, era una base militare dei marine. Un giorno decisero di trasferirsi la base e sbaraccarono tutto, lasciando solo le pareti di calcestruzzo (in inglese “slab”) che servivano a sostenere le camerate. Tra quelle precarie pareti, devastate dal tempo e crepate dal sole cocente, oggi vivono gli abitanti di Slab City, spesso uomini soli tra i 30 e i 50 anni, ma a volte anche famiglie.

Chi non ha il calcestruzzo, vive nelle tende, in autobus abbandonati, nelle roulotte, vive come e dove può. Il visitatore che arriva in città ha l’impressione che sia stato un tornado a gettare a caso lì intorno quelle quattro baracche improvvisato. Tutto è precario qui, le abitazioni come il resto. In un delirio di riciclo, le parti comuni – i pannelli e certe strutture – sono fatte di vecchi copertoni, cavi e tutto ciò che non era più utilizzabile ad altri fini.

Fino a poco tempo fa Slab City contava tra settanta e cento residenti fissi, ognuno col suo carico di storie tristi da raccontare. Oggi gli abitanti sono raddoppiati e la popolazione è di 200 abitanti. Qualcuno, racconta un vecchio residente, è perfino arrivato a piedi. Sono le persone che hanno perso tutto, e che non hanno nulla da perdere, e che non hanno nulla da chiedere, che vengono ad abitare Slab City, dove finisce la civiltà.