Spy-story: Operazione Rosenholz, caccia al tesoro della Stasi durante il crollo del Muro di Berlino

ROMA – Berlino, 9 novembre 1989: il Muro stava ancora in piedi nonostante i primi colpi di piccone, quando andò in scena l’Operazione Rosenholz, una delle più clamorose vittorie di Pirro nella storia dello spionaggio internazionale. In quel giorno simbolo della fine della Guerra Fredda, iniziò il Grande Freddo fra i servizi segreti tedeschi e la Cia. Fu, se vogliamo, una vittoria postuma della Stasi.

Alfredo Mantici per Lookout News ricostruisce quella storia che durò lo spazio di un pomeriggio. Tutto ruota intorno a un tesoro, come nelle migliori avventure. Il tesoro sono i nomi delle migliaia di spie che la Germania Est aveva infiltrato nell’altra metà “atlantica” di una nazione divisa:

Per anni, nella comunità internazionale dei servizi segreti (o intelligence community, come ama definirsi), si è favoleggiato in merito al colpo da maestro che la Cia avrebbe fatto dopo la caduta del Muro di Berlino quando riuscì a impossessarsi dei file contenenti i nomi di migliaia di spie disseminate nei Paesi occidentali dal servizio segreto estero della Ddr (la Hva, diretta per trent’anni da Markus Wolf), a cominciare dalla vicina Germania Federale (Rft).
Le voci abilmente diffuse dai vertici di Langley per coprire la vera storia – false o mezze verità – parlavano di un agente del Kgb russo di stanza nella sede berlinese di Karlshorst che, durante le fasi finali del collasso della Ddr nei primi mesi successivi alla caduta del Muro, avrebbe venduto centinaia di cd rom contenenti decine di migliaia di nomi a un agente della Cia che incontrò a Varsavia.

La storia vera: un agente della Cia che cammina controcorrente, nella direzione “sbagliata” della storia.

Nel pomeriggio del 9 novembre 1989 il Politburo della Repubblica Democratica Tedesca decise di “abolire il visto di uscita” per i cittadini dell’Est che intendevano recarsi all’estero. Nessuno ha mai saputo se si sia trattato di un errore dovuto alla stanchezza o alla tensione o un calcolo politico rivelatosi suicida, e forse i burocrati del partito non si resero conto che il “visto” più imponente che ostacolava i viaggi dei tedeschi orientali era il Muro di Berlino. Con un tratto di penna, quindi, venne di fatto deciso l’abbattimento del Muro, e fin dalla serata del 9 novembre, decine di migliaia di berlinesi festanti si diressero verso i varchi di accesso alla parte Ovest della città, pretendendo con successo di espatriare senza visto.

Mentre la folla di cittadini si riversava dalla parte ormai ex comunista della città verso i quartieri scintillanti dell’opulenta Berlino Ovest, un intraprendente agente della Cia della “BoB” (Base of Berlin: per sottolineare l’importanza strategica di Berlino la centrale della Cia nella città veniva identificata come base e non come stazione) fendeva la corrente umana al contrario per raggiungere il quartier generale della Stasi in Normannenstrasse. I tetri edifici nei quali oscuri funzionari per decenni avevano terrorizzato i cittadini di tutta la Germania Orientale giocando spregiudicatamente con “le vite degli altri”, erano stati abbandonati da tutti i vertici e i quadri dirigenti. Soltanto una sparuta pattuglia di archivisti e di impiegati di second’ordine occupava ancora alcune delle centinaia di stanze dalle quali era stato coordinato il più imponente apparato di spionaggio e di controspionaggio europeo negli anni della Guerra Fredda.

L’agente della Cia si mosse rapidamente e, individuato un archivista, si fece condurre nei sotterranei dove, all’interno di casseforti e di armadi blindati ormai senza protezione, erano custoditi i segreti dell’Est. L’americano si fece consegnare – pagando sull’unghia la somma di 75.000 dollari – tre cassette contenenti 280 cd rom, dentro cui erano chiusi a chiave i nomi di migliaia di agenti inviati dalla Stasi a spiare l’Occidente. Le credenziali apparivano ineccepibili: infatti, sui registri d’archivio le cassette erano indicate come contenenti “i nomi degli agenti all’Ovest”.

Gli americani avevano trovato il loro tesoro, ma era uno scrigno pieno di monete tagliate a metà: l’altra metà ce l’avevano i servizi segreti della Germania Ovest. Per far diventare quelle monete spendibili bisognava unire le due metà. Così restando le cose, i “cacciatori” di nomi stavano brindando con due bicchieri mezzi vuoti.

Era il colpo del secolo, conseguito tra l’altro pagando una miseria rispetto al valore teorico del materiale comprato. Ma il diavolo, come si sa, si nasconde nei particolari: quando gli americani aprirono i file si trovarono sì di fronte ai nominativi di decine di migliaia di agenti, corredati anche dai rispettivi nomi in codice. Ma nei file non c’era traccia delle attività svolte dalle persone citate, né della loro carriera spionistica né del loro ruolo in Occidente. Per farla semplice, quello che trovarono fu un elenco di nomi e cognomi affiancati dal solo nome in codice. Ad esempio, si leggeva di Martin Schmidt detto “Mirtillo”, ma non una sola notizia su come “Mirtillo” fosse stato impiegato.

Adesso vediamo la seconda parte della storia: mentre il solerte funzionario della Cia si impadroniva dei file (l’intera operazione sarebbe stata nominata “Rosenholz”), anche gli agenti del servizio per la tutela della Costituzione della Germania Occidentale, il Bfv (Bundesamt für Verfassungsschutz), non erano rimasti con le mani in mano. Solo che arrivarono a Normannenstrasse con qualche ora di ritardo. Perciò, anche loro misero le mani su centinaia di cd rom ma, quando i tedeschi li aprirono, ebbero una brutta sorpresa: i file contenevano sì i nomi in codice degli agenti della Stasi e anche dettagli sui loro campi di attività, ma dei nomi e cognomi reali neanche l’ombra.

Riassumendo e semplificando: gli americani sapevano che “Mirtillo” identificava Martin Schmidt, ma non ne conoscevano né il ruolo né l’attività svolta, dunque non sapevano che diavolo avesse combinato durante la Guerra Fredda. I tedeschi sapevano che “Mirtillo” aveva operato all’Ovest, conoscevano i dettagli d’archivio su tutte le sue attività, ma non ne conoscevano il nome. Senza riunire le due mezze mele, insomma, nessuno sarebbe riuscito ad avere un quadro completo delle attività dei servizi segreti dell’Est.

Molto facile, si dirà: bastava che americani e tedeschi si sedessero attorno a un tavolo e mettessero insieme le due metà della mela. Ma, come si sa, nel gioco degli specchi dello spionaggio e del controspionaggio non esistono amici o alleati, soltanto concorrenti. E, in questo gioco, quali che siano le posizioni ufficiali dei rispettivi governi, nessuno offre niente in cambio di niente. Gli americani erano disposti a mettere in comune con i loro colleghi tedeschi i file dell’operazione Rosenholz, a patto che i tedeschi scambiassero la loro metà delle informazioni.

C’è una motivazione comprensibile per quello che successe dopo: la Germania non voleva minare le fragili fondamenta sulle quali stava costruendo lo Stato unitario:

I tedeschi rifiutarono immediatamente di condividere le informazioni. Perché nella Repubblica Federale, dopo il crollo della Germania Est, era stata varata una rigidissima legge sulla privacy che impediva la diffusione di notizie sulle attività di spionaggio di cittadini tedeschi, sigillando i file relativi in un archivio impenetrabile, al quale un singolo cittadino che avesse chiesto di prendere visione del proprio fascicolo di archivio poteva accedere solo previa motivata domanda. In questo modo, le autorità tedesche volevano evitare di mettere in piazza segreti imbarazzanti (niente di strano se si pensa che nella Germania dell’Est metà dei cittadini spiava l’altra metà e che migliaia di tedeschi dell’Ovest avevano lavorato, per ideologia o per denaro, per i cugini orientali).

In sostanza i tedeschi dell’Ovest, non rivelando i segreti dello spionaggio orientale, volevano evitare di generare accuse e recriminazioni che avrebbero certo destabilizzato una Germania che si andava faticosamente riunificando.
Per questi motivi, alla richiesta degli americani di condividere le informazioni, i tedeschi risposero nein e gli americani, offesi, chiusero i loro file nelle valigie e se ne tornarono a Washington.

Dal 1990 al 2005 la polemica tra i servizi americani e quelli tedeschi è andata avanti in modo feroce. Solo per questo, sono saltate collaborazioni in territori delicati come il Medio Oriente o l’Afghanistan, e lo strappo non si è ancora ricucito. Anzi, è ancora corso cattivo sangue quando, alla fine degli anni Duemila, gli americani hanno dato ad altri alleati i nomi di loro concittadini trovati nei cd rom della Normannenstrasse (sempre e solo il nome in codice).

Anche i servizi di questi Paesi, quando hanno bussato alla porta tedesca, si sono sentiti rispondere nein. Per cui il cattivo sangue è corso anche tra tedeschi e inglesi, olandesi, danesi. L’operazione Rosenholz è, insomma, un colpo grosso nello spionaggio che ha causato più problemi di quanti ne abbia risolti.

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