
Forze di Polizia italiane sono razziste secondo il Consiglio d'Europa. Perché da noi queste tematiche restano un tabù? (Nella foto Ansa di luglio 2001, agenti di polizia davanti al cancello della scuola Diaz) - Blitz Quotidiano
Tra le tante agenzie di stampa uscite nella giornata di ieri ce n’è stata una firmata dal Consiglio d’Europa, un’organizzazione internazionale il cui scopo è promuovere la democrazia, i diritti umani, l’identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali nei Paesi in Europa. Un’organizzazione, è bene dirlo, totalmente svincolata dall’Unione Europea.
Bertil Cottier, il presidente della commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa (Ecri), ha raccomandato il Governo italiano di condurre “al più presto uno studio indipendente sul fenomeno della profilazione razziale nelle sue forze di polizia per poter valutare la situazione. Tena Simonovic Einwalter, la vicepresidente dell’Ecri, ha aggiunto che si tratta di un “fenomeno crescente in molti Paesi europei”, con “agenti di polizia fermano le persone basandosi sulla base del colore della pelle, o sulla loro presunta identità o religione, tutto ciò viola i valori europei”.
La vicepresidente ha spiegato ancora che “nel nostro report annuale 2024 non citiamo Paesi nello specifico, ma basandoci sui report paese già pubblicati in passato, tra cui quello sull’Italia, possiamo certamente dire che il problema della profilazione razziale nell’operato delle forze dell’ordine è un problema che si riscontra frequentemente in Italia e Francia”.
Perché in Italia non si può parlare di questo tema?
Stando a questi dati e a quello che si legge nella cronaca, ad ultimo il rinvio a giudizio per 16 agenti veronesi per lesioni e tortura, parlare in Italia di queste tematiche è un tabù ora favorito anche dalla svolta securitaria del decreto sicurezza. Bisognerebbe analizzare il problema senza tifoserie: nessuno è infatti probabilmente contrario a più protezioni per gli agenti in servizio. Oltre alle body cam di cui verranno ora forniti gli agenti italiani servirebbe però anche un numero identificativo anonimo per prevenire gli abusi. E, perché no, questi corsi contro il razzismo. Nascondere sotto il tappeto la polvere, dicendo che il problema non esiste e che è un’invenzione di cerca stampa o di certa politica, non regge. Anche perché, spiace dirlo, di abusi documentati da parte delle forze dell’ordine ce ne sono a decine. Il G8 di Genova del 2001, con sentenze definitive di condanna verso agenti e dirigenti, purtroppo non ci ha insegnato nulla.