Dubai boicotta Israele, ma vende i suoi diamanti

Pubblicato il 16 Giugno 2010 - 10:30 OLTRE 6 MESI FA

Va bene la politica, purché non tocchi gli affari. È questa la filosofia di Dubai, che nonostante si sia impegnato a boicottare Israele, continua a commerciare con Tel Aviv in diamanti.

Tutto è cominciato lo scorso gennaio, quando il piccolo ma florido Stato degli Emirati Arabi ha accusato il Mossad di aver ucciso Mahmoud al-Mabhouh, uno dei fondatori del braccio armato di Hamas, proprio a Dubai. Gli agenti responsabili (Israele non ha mai ammesso o smentito il proprio ruolo nella vicenda), sarebbero entrati nel Paese con passaporti europei.

Dubai di conseguenza ha annunciato il boicottaggio, ma individualmente, scrivono Henry Meyer e Gwen Ackerman sul sito di Bloomberg, le società private degli emirati continuano a importare diamanti lavorati da Tel Aviv per rivenderli ai vicini del Golfo, che pure boicotterebbero Israele.

«Questo è un altro esempio di come Dubai non si faccia problemi a far soldi con cose che gli altri arabi non toccherebbero mai» commenta Jim Krane, autore di “Dubai, the story of the world’s fastest city” (Dubai, la storia della città più veloce del mondo). «Il business dei diamanti è strutturato in modo tale che sia impossibile entrarci senza fare affari con ebrei e israeliani» aggiunge.

Come dimostra anche la resistenza del Paese alla richiesta degli Stati Uniti di diminuire i propri affari (del valore di 12 miliardi di dollari) con l’Iran, il polo commerciale più importante del Medio Oriente non lascia che l’ideologia intralci il business.

Ufficialmente, per esempio, i diamanti venduti dalla Levant (una società americana, ma guarda caso di proprietà del commerciante di diamanti israeliano Lev Leviev) sono estratti in Africa, lavorati a New York e poi rivenduti negli Emirati.

Ma, ogni anno, 32 miliardi di dollari in pietre passano da Dubai per poi essere rivendute a clienti mondiali come la Cina e l’India. E almeno 200 milioni di dollari sarebbero frutto di diamanti israeliani, secondo la Info-Prod Research Ltd., un’agenzia di informazioni commerciali di Tel Aviv.

Il commercio di gemme è fondamentale, in questo momento, a sostenere l’economia del Paese, duramente colpita dal crollo del mercato immobiliare. Una crisi che ha visto precipitare i prezzi delle case del 50 per cento tra la fine del 2008 e la fine del 2009.

Ahmed bin Sulayem, che nel 2002 ha fondato la borsa dei diamanti di Dubai e l’ha resa il quarto centro di scambio nel mondo, è convinto che lo “staterello” degli Emirati stia indicando la strada giusta per un «futuro diverso» in Medio Oriente, promuovendo la tolleranza tra arabi e ebrei.

I diamanti israeliani arrivano a Dubai passando per il Belgio, la Svizzera, New York o Hong Kong, spiega Chaim Even-Zohar, azionista di maggioranza dell’israeliana Tacy Ltd. «A noi conviene poter vendere attraverso Dubai e a Dubai conviene che Israele compri i suoi diamanti grezzi» sintetizza.

Mohammad al-Tayeb, commissario generale dell’ufficio per il boicottaggio della Lega Araba di Damasco, sostiene che la Lega non possa fare nulla per rafforzare le politiche dei singoli Stati in materia.

«Ogni Paese è sovrano e libero di applicare concretamente le decisioni come vuole» spiega in un’intervista. Del resto, tra i 22 Paesi della Lega Araba, ci sono anche l’Egitto e la Giordania che hanno firmato trattati di pace con Israele e mantengono relazioni diplomatiche e commerciali con Tel Aviv.