L’ accordo su Mirafiori tra Sergio Marchionne e i metalmeccanici della Cisl e della Uil, con la Fiom contraria, divide la sinistra e crea ancora fibrillazioni all’ interno del Pd dove convivono ex diessini, legati alla Cgil e gli ex popolari vicini soprattutto alla Cisl. E’ invitabile che le divisioni sindacali su questa intesa si riflettano nel maggior partito dell’ opposizione e nel gioco delle alleanze politiche visto che il tema dei diritti acquisiti in fabbrica e delle forme della rappresentanza e’ centrale nel campo del centrosinistra. E’ Nichi Vendola a sollevare la questione sostenendo, in una intervista a ”Il Piccolo” di Trieste che il rigetto dell’ accordo Fiat, definito ”un atto di arroganza padronale”, e’ ”un punto dirimente per costruire una coalizione”.
Il leader della Sel si inserisce così nel dibattito interno al Pd con l’intento, neanche tanto velato, di provocare su questa vicenda uno spostamento a sinistra del suo asse con un aumento dei mal di pancia dei settori provenienti dal Partito popolare favorevoli ad un’alleanza con il Terzo Polo. Il ”richiamo della foresta” vendoliano viene accolto soprattutto dalla sinistra del partito di Bersani con Vincenzo Vita che invita il Pd ad avere ”un giudizio contrario forte e netto perché è uno di quei casi in cui ambiguità e incertezze minano dalle fondamenta la natura stessa di un partito riformista”.
Di avviso opposto il deputato del Pd Giorgio Merlo che avverte: ”se l’accordo è una discriminante per una alleanza, allora non si può dar vita ad un coalizione dove sono prevalenti massimalismi e estremismi politici e sindacali”. Replicano a Vendola soprattutto gli ex popolari a cominciare da Franco Marini che da ex leader della Cisl dice che se fosse capitato a lui avrebbe detto ”sì” all’ intesa e aggiunge che ”si è perso anche troppo tempo”. L’ ex popolare Beppe Fioroni sostiene che ”un partito riformatore deve avere il coraggio di guardare avanti”.
“Quell’accordo – sostiene Fioroni – è frutto del lavoro di imprese e sindacati e spetta alla politica avere il coraggio di affrontare le nuove sfide, indicare le nuove frontiere dei diritti dei lavoratori”. Anche il cattolico Giorgio Tonini, veltroniano insiste sul concetto che il Pd ”è il partito del cambiamento e non della conservazione”.
”In questa fase – dice Tonini – la politica deve accompagnare questi cambiamenti delle relazioni industriali, Marchionne non è cattivo ma pone questioni legate alla globalizzazione e la politica deve dettare nuove regole”. La deputata del Pd Alessia Mosca, che fa parte dell’ associazione Trecentosessanta di Enrico Letta definisce il leader della Sel come ”un teologo conservatore” che ”lucra sulle paure dettate dalla crisi” mentre sul nesso tra produttivita’ e diritti ”ci vogliono scelte coraggiose e innovative”.
Se nel Pd convivono posizioni differenti, il responsabile economico Stefano Fassina spiega che il partito non entra nel merito dell’ accordo ma ”valuta l’aspetto della democrazia sindacale’ considerato ”un pezzo fondamentale della democrazia” per cui ”non si piu’ negare rappresentanza alla parte dei lavoratori che dissente”.
”In questo momento – spiega Maurizio Migliavacca, coordinatore della segreteria – stiamo discutendo dei problemi concreti degli italiani e, in particolare, di come la ricerca di processi produttivi più competitivi non incida sui diritti dei lavoratori e sulla democrazia nei luoghi di lavoro”. Ma un sostegno netto all’ accordo viene da Piero Fassino, ex segretario dei Ds e ora candidato sindaco nelle primarie per Torino: ”se fossi lavoratore voterei sì al referendum sull’ accordo”.
Un vero e proprio appello arriva invece da Sergio Chiamparino, sindaco di Torino: ”Invito a votare sì al referendum su Mirafiori – dice – perché lo scenario alternativo sarebbe di grande criticità per la città e per il Piemonte”. Il sindaco di Torino ha partecipato alla riunione delle segreterie piemontese e torinese convocata per approfondire l’accordo su Mirafiori, siglato da Fim, Uilm, Ugl e Fismic, e non dalla Fiom. ”Mi auguro, sollecito e auspico che i sindacati recuperino il tema della garanzia di rappresentanze per tutti, come ha detto Bonanni, e avviino un tavolo confederale”.