ROMA – Senza rimborsi spese, senza formatori e formazione e, soprattutto, senza prospettive di assunzione. E’, spesso, la realtà degli stage professionali in Italia. Una realtà ricatto: si lavora gratis, ci sono prospettive pressoché nulle ma la sola alternativa è rimanersene a casa a girare i pollici.
Da qualche tempo, però, la Cgil ha lanciato la campagna “Giovani non più disposti a tutto”. Un’iniziativa con un obiettivo sulla carta semplice: ottenere stage “normali” in cui si impara un mestiere per poi, forse, rimanere in azienda. Ora, a distanza da un mese dal lancio dell’iniziativa, i “Giovani non più disposti a tutto” arrivano nelle università. “Dopo le università marchigiane, laziali e piemontesi – spiega il Fatto Quotidiano – il 19 marzo saranno a Prato con i “10 comandamenti dello stagista””.
Comandamenti chiari e, almeno sulla carta ineccepibili così riassunti dal Fatto Quotidiano: “Lo stage non è una forma di lavoro”, “lo stagista ha diritto al tutorato”, “lo stagista ha diritto ad un congruo rimborso di spese”, “allo stagista devono essere riconosciuti i diritti”. E ce n’è anche per gli enti e le aziende ospitanti: “lo stagista non può sostituire personale dipendente” (gli enti ospitanti non possono far uso degli stagisti per coprire compiti e mansioni che andrebbero affidate a personale dipendente, né attività ripetitive prive di contenuto formativo e non possono essere previsti obblighi di orario), “è consentito un limite massimo di stagisti in proporzione al personale” (ogni ente ospitante può avere nell’arco dell’anno solare massimo uno stagista per le aziende sotto i 15 dipendenti a tempo determinato, massimo due stagisti per le aziende da 15 a 50, massimo il 10% per le aziende sopra i 50 dipendenti), “lo stage non può essere prorogato”.
I primi risultati concreti, stando al quotidiano, sembrano essere arrivati: gli stagisti hanno ottenuto la firma di un accordo tra “Telecontact” e le università di Napoli, Catanzaro e Catania per sostituire 200 stagisti con apprendisti con contratto e pagati con borse studio. “Hanno – aggiunge il Fatto -attivato uno spazio online per segnalare gli stage truffa e hanno chiesto alle regioni e ai centri impiego i dati precisi con la suddivisione per settore, “non ha senso confrontare un giornalista a un fisico”, dicono. Auspica De Zolt: “Anche da parte dello stagista ci sia la possibilità di segnalare le aziende che hanno violato le normative per inserirle in una “black list” in modo tale che siano interdette dal poter offrire ulteriori tirocini””.