Nube e cenere sui portafogli. Ecco di chi sono soldi che vanno in fumo

Pubblicato il 19 Aprile 2010 - 17:29 OLTRE 6 MESI FA

C’è chi parla di perdite per 200 milioni al giorno e chi si ferma a 130. C’è chi ipotizza danni complessivi per 10 miliardi di dollari e chi, invece, si “accontenta” di due. La certezza, però, è che la nube sprigionata dal vulcano islandese rischia di sferrare un colpo durissimo all’economia europea in fase di faticosa risalita dopo la crisi. A pagare saranno in tanti, dalle compagnie aeree agli operatori turistici passando per i viaggiatori appiedati che al danno del mancato rientro aggiungeranno la beffa dell’impossibilità di far causa per danni.

A rimetterci, prima di tutto, sono le compagnie aeree che, non a caso, sono anche le più infuriate contro il perdurare dei blocchi. Spiega il direttore generale dell’organizzazione degli aeroporti europei Oliver Jankovec che  “l’impatto economico è già oggi maggiore di quello subito dopo l’11 settembre 2001”.

Stime precise, per ora è difficile farne anche perchè il problema sta tutto nell’imprevedibilità della situazione. Quello della nube è un caso senza precedenti e neppure gli esperti sanno dire esattamente quanto durerà. Ad oggi sono stati cancellati 63.000 voli e solo negli aeroporti europei, sono oltre 300 quelli bloccati dal vulcano islandese. Secondo la Iata, associazione che raccoglie le principali compagnie aeree,  il danno economico si aggira attorno ai 200 milioni di euro al giorno.

Se possibile è ancora più pessimista Vanessa Rossi, senior al Chatham House, uno dei più importanti istituti di ricerca e analisi al mondo, che parla di un danno che potrebbe arrivare fino ai 10 miliardi di dollari alla settimana se la nube dovesse decidere di stabilirsi sui cieli europei per diversi giorni.

E c’è dell’altro: innanzitutto il ritorno alla normalità sarà  graduale e le compagnie, prima di tornare a regime, dovranno garantire il ritorno a casa dei viaggiatori di tutta Europa al momento “parcheggiati”, quando va bene, negli alberghi vicini agli aeroporti. Un’ulteriore perdita o, quantomeno, un mancato guadagno. Altro piccolo ma significativo particolare: gli aerei non sono macchine fatte per essere tenute negli hangar una settimana. La sosta forzata rischia di danneggiare i motori e, in ogni caso, obbligherà tutte le società coinvolte a sostenere dei costi extra per la manutenzione.

Normale, viste le cifre, che le compagnie chiedano l’apertura rapida di corridoi aerei e, soprattutto, invochino aiuti economici. Ovvero soldi pubblici nella forma di quegli “aiuti di Stato” che hanno permesso al trasporto aereo di sopravvivere all’undici settembre. Solo che nel 2001 non si era reduci da una crisi finanziaria mondiale che aveva dissanguato le casse degli Stati. Il commissario alla concorrenza Ue, Joaquin Almunia, comunque,  si è  detto disponibile ad autorizzare il ricorso agli aiuti pubblici se gli Stati dovessero formulare richieste simili.

Il danno economico, in ogni caso è complessivo. In Gran Bretagna, per esempio, le prime stime parlano di 500 milioni di sterline dalla data dell’eruzione. Per ora in Italia va un po’ meglio e le perdite sono attorno agli 80 milioni ma la situazione è in continua evoluzione.  Non ci sono solo gli aerei ma tutta un’economia che dipende dall0 spostamento veloce di uomini e merci. Ci sono gli ordini di carburante che precipitano, le merci (frutta e fiori su tutte) che deperiscono nei magazzini, lavoratori stipendiati che non possono lavorare e altri lavoratori che non riescono a tornare a casa.

La più penalizzata, ovviamente, è l’industria turistica, un settore che da solo rappresenta il 5% del Pil dell’area Ue. Se la nube dovesse imporre uno stop prolungato le conseguenze per l’economia europea sarebbero pesanti. Sempre Vanessa Rossi parla di 1 o 2 punti di Pil, proprio l’ammontare esatto della ripresa prevista dagli esperti per l’anno in corso dopo la recessione. Insomma il vulcano rischia di “ridurre in fumo” la ripresa economica.

Sul piano turistico tra i più danneggiati ci sono i tour operator. Innanzitutto ci sono i viaggi in corso: non si possono far tornare i turisti e le spese di albergo lievitano a dismisura. Poi ci sono le mancate partenze tra cancellazioni, disdette e rimborsi. I viaggiatori in casi simili hanno diritto a scegliere tra il differimento della data di partenza, il cambio di destinazione, il cambio di data e di destinazione, un bonus o il rimborso totale. Non ridono neppure gli albergatori, con l’eccezione di quelli contigui agli aeroporti. Se non partono i voli non arrivano i turisti e agli alberghi, quando previsto,  resta solo la “magra” consolazione dell’acconto.

E i passeggeri? Ci rimettono, e non poco, pure loro. Non tanto per i biglietti, per cui si ha diritto al rimborso o gli alberghi che, secondo quanto previsto dalla “carta dei diritti del passeggero” sono a carico delle compagnie. Dei milioni di persone rimasti a piedi la maggior parte non  possono aspettare un tempo indefinito e quindi si arrangiano, a loro spese. La Gran Bretagna ha mandato in soccorso dei sudditi di Sua Maestà sparsi per il globo addirittura la Marina. Ma chi non è così fortunato è costretto ad optare per taxi che arrivano a costare migliaia di euro.

Ma c’è di peggio: in caso di eventi eccezionali, infatti, non è previsto alcun risarcimento del danno. Per la precisione la compagnia rimborsa o sostituisce il biglietto e poi se uno perde una settimana di lavoro o peggio, “la colpa è di madre natura” e quindi pazienza. Poi ci sono i danni di medio periodo.  I “frequent flyer”, quella categoria di persone che viaggia spesso per lavoro, ci rimetteranno anche dopo, quando la nube sarà un ricordo.Viste le perdite delle compagnie aeree, infatti, è assolutamente la plausibile ipotizzare ritocchi verso l’alto delle tariffe. A conti fatti, insomma, ci rimettono quasi tutti e l’unica speranza, per evitare troppi danni è che Eolo decida di soffiare forte e che la nube vulcanica se ne vada lontano il più presto possibile.