“Non plus ultra”: la frase latina vuole dire “non più oltre”, non è di oggi. Purtroppo, dopo quello che è successo sabato sera a Roma prima di Fiorentina-Napoli, non vuole dire quello che tutti ci aspettiamo, che non ci devono più essere ultras, quei teppisti travestiti da tifosi che molestano il calcio di tutta Europa.
La parola in uso in Italia è figlia degli anni ’50 e ’60, quando Charles De Gaulle aveva deciso di lasciare al suo destino indipendente la colonia Algeria e una parte dei coloni, che non lo accettavano, misero su una forza politica e paramilitare, con contiguità anche con forze dell’ordine e esercito, per contrastare la ritirata dall’Algeria.
In Inghilterra, i tifosi ultra li chiamano “hoolingans”, teppisti.Lì la piaga, l’hanno affrontata con misure anche maschie, cose assai difficile in una Italia dove il capo della Polizia Alessandro Pansa, senza aspettare magistratura e inchieste interne, si precipita a definire un suo poliziotto “cr etino in divisa”.
Nella leggenda, “non plus ultra” era una iscrizione posta sulle colonne d’Ercole, che, più o meno all’altezza di Gibilterra, segnavano il confine fra il mondo noto, il Mediterraneo, e l’immensa piana sconosciuta, oltre appunto, dove non era consigliato proseguire.
Fu il motto dell’imperatore austro spagnolo Carlo V, rappresentato con un disegno in cui, informa l’enciclopedia Treccani,
“figuravano due colonne legate da una fascia con su scritto plus ultra. Nel linguaggio comune l’espressione è usata per indicare (talora ironicamente) il limite estremo che si può raggiungere: il non plus ultra dell’eroismo, del sacrificio, dell’ignoranza, della sfacciataggine; anche, talora, nella traduzione italiana non più oltre o, più raro, non più là: il non più là dell’ingegno umano (Pascoli)”.
Ce lo auguriamo, che oltre non si possa andare, anzi, si torni indietro.
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