Celentano “grazia”Corona: vip impudenti e ignoranti. Parola di giudice

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 6 Ottobre 2014 - 15:00 OLTRE 6 MESI FA
Adriano Celentano

Adriano Celentano

TORINO – Alzi la mano chi, per perorare la causa di un condannato, prenderebbe carta e penna per scrivere niente di meno che al Presidente della Repubblica. Le mani alzate saranno probabilmente pochine. Tra queste però sicuramente c’è quella di Adriano Celentano che a Giorgio Napolitano ha scritto davvero (una lettera strappalacrime e al limite dell’imbarazzante) per chiedere la grazia indovinate per chi? Fabrizio Corona.

Pochi hanno avuto la ventura di leggere tutta la missiva del molleggiato ma, tra chi l’ha letta, c’è sicuramente Nicola Gaeta, ex Direttore della Procura della Repubblica di Cuneo, uno cioè che la legge la dovrebbe conoscere e che, evidentemente colpito dalla cosa, ha a sua volta preso carta e penna per scrivere però, lui, più modestamente ad un quotidiano, La Stampa, per spiegare come e qualmente l’Adriano nazionale abbia in questo caso preso un abbaglio a dir poco galattico.

“Corona non è stato condannato per reati colposi – scrive Gaeta – (frutto cioè di imprudenza, negligenza o imperizia), ma per reati di dolo, frutto cioè di attività coscientemente criminosa, per cui non è lo sprovveduto che ha sbagliato per leggerezza, ma una persona che ha messo in atto attività criminose, per procurarsi ingiusti profitti in danno altrui”.

Una sottolineatura non da poco che segue un incipit altrettanto incisivo:

“Leggo con costernazione della richiesta di Celentano, al Presidente Napolitano, di concedere la grazia a Corona. L’iniziativa è tipica dell’ambiente (vip?) del fotografo, in cui predominano ignoranza, superficialità e impudenza”.

Celentano quindi vip impudente. Ma una sottolineatura quasi doverosa alla luce di quanto scritto da Celentano che, nella sua missiva, mette nero su bianco:

“Lei signor Presidente, lo sa meglio di me: i criminali veri sono tanti, e non si contano quelli che in galera passano molti meno giorni di quanti ne ha già passati l’esuberante Fotografo. Certo, lui ha sbagliato come ognuno di noi, chi più e chi meno sbaglia, probabilmente anche a Lei sarà capitato. Quando si è giovani è facile farsi prendere dalla voglia di arrivismo”.

Non se ne abbia Celentano, che ha ragione quando dice che tutti sbagliano, ma non tutti però ricattano, estorcono, guidano senza patente, hanno in tasca soldi falsi etc. etc. etc.

“A ben guardare – scrive ancora Celentano – Corona non ha fatto né più né meno ciò che fanno tutti quelli che chiamano ‘Paparazzi’: ‘l’incriminato’ si apposta, fotografa Trezeguet con una donna che non è la moglie. Anziché proporre lo scandalo ai giornali (come fanno tutti) lui, il Re dei paparazzi, ha un’idea diversa. Va dal calciatore e gli dice: ‘ti ho beccato con una donna che non è tua moglie, se vuoi, il servizio lo posso vendere a te anziché ai giornali’. Trezeguet, che non è scemo, intuisce la convenienza dell’affare e accetta, come del resto avrebbero fatto tutti compreso il sottoscritto. E non mi meraviglierei se insieme al pagamento di 25mila Euro il Calciatore avesse espresso ‘all’esuberante’ una certa riconoscenza per la genialità di aver conseguito un’opera di ONESTA’ in ciò che, secondo i giudici, sarebbe il male dei paparazzi. Per cui tutti in galera tranne Corona, che pur sotto pagamento ha evitato uno scandalo in famiglia”. Peccato che il comportamento di Corona nel diritto si chiami estorsione e che nella lingua comune, quella che probabilmente anche Celentano usa, cioè l’italiano, si chiami ricatto.

“Signor Presidente – chiosa Celentano colto evidentemente da una vena mistica -, a Lei che è nella condizione di aggiustare i passi di coloro che sbagliano, chiedo solo un po’ di pietà e di concedere la grazia a quel Ragazzo che ‘nel male ha agito bene’, come disse Gesù. Infierire, significherebbe assistere alla stupida amputazione di un’Anima che sta per RISORGERE”.

“Levateje er vino!”, commentava in un passaggio di un film divenuto cult (Vacanze di Natale 1983) il marito per far tacere la moglie che straparlava. Senza però arrivare ad immaginare eccessi alcolici in casa Celentano, al molleggiato farebbe magari bene rivedere una sua vecchia trasmissione, “Rockpolitick”, dove un giovane Maurizio Crozza rispetto ai comici che fanno i politici diceva: “Io faccio un altro mestiere, sono un guitto, un comico, non faccio né comizi né proclami: gioco e cerco solo di far ridere”. E gioverebbe anche a Celentano leggere le ultime righe della lettera di Nicola Gaeta.

“Invitando quindi i vip buonisti a mettersi anche per pochi momenti nei panni delle vittime dei reati (e non solo degli autori dei reati ndr), invito i cari celentani a spendersi per la grazia a favore dei padri di famiglia che in questi tempi sono in carcere per aver rubato cibo per i propri figli”. Leggendo Celentano scoprirebbe due cose: che il populismo e la retorica non hanno confini anche quando sono animati dalle migliori intenzioni, sia il passo “sull’anima che risorge” sia quello sui “padri che rubano il pane per i figli” ne grondano. E che la sua pietas, di questa Nicola Gaeta coglie l’essenza e la natura, è solo e soltanto solidarietà di corporazione, istinto di casta.