Perché li abbiam lasciati prendere dagli indiani? Chi comanda quei marò?

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 21 Febbraio 2012 - 15:46 OLTRE 6 MESI FA

Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò arrestati in India (Lapresse)

ROMA – Sulla brutta e complessa storia dei marò italiani fermati in India con l’accusa di omicidio si è scritto e detto molto. Ci sono alcuni interrogativi che sono però ancora senza risposta. Uno su tutti: perché abbiamo lasciato che fossero presi dalle autorità indiane? E chi ha deciso che la Enrica Lexie si dirigesse in un porto indiano? A chi spettano le decisioni su queste navi civili ma con a bordo militari?

Apparentemente, oltre alla versione dei fatti fornita dai militari e dal comandante della nave, supportata da elementi che emergono dall’inchiesta come la denuncia da parte di una nave greca di un attacco subito nelle stesse ore e nella stessa zona, il diritto internazionale impedirebbe alle autorità indiane di fermare militari stranieri in servizio (e proprio sull’essere “in servizio” la querelle legale nasconde molte insidie) a bordo di una nave battente bandiera di uno Stato diverso da quello indiano. Nonostante questo però Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono ora in stato di fermo, a disposizione della magistratura, in India.

Il primo errore, probabilmente frutto di ingenuità, è stato quello di condurre la petroliera italiana nel porto indiano di Kochi. Alle 18.20 ora locale, ricevuto l’allarme dei pescatori rientrati precipitosamente in porto con i corpi dei due colleghi uccisi, la guardia costiera indiana rileva nell’area la presenza di 4 imbarcazioni in movimento compatibili con il racconto dei superstiti. Oltre alla Enrica Lexie, la nave italiana, ci sono la petroliera gemella “Kamome Victoria”, la nave cisterna italiana “Giovanni” e la “Ocean Breeze”.

Se i pescatori indiani avessero segnato il nome della nave che ha crivellato il loro peschereccio, per la guardia costiera sarebbe stato facile individuare la nave. Ma così non è e gli indiani architettano un vero e proprio tranello: chiamano alla radio le navi una per una: “Abbiamo trovato un peschereccio con armi a bordo, avete per caso subito un attacco?”. Tutti, ovviamente, rispondono subito. Nessuno però ha avuto a che fare con pirati tranne la Enrica Lexie. Così la nave italiana non ha alcuna difficoltà ad assecondare la guardia costiera quando le autorità indiane chiedono loro “per favore” di rientrare in porto per sporgere denuncia, aiutandoli a riconoscere il peschereccio e i pirati.

Se la nave non si fosse diretta nel porto di Kochi per gli indiani sarebbe stato impossibile, oltreché illegale, fermare i militari italiani. Una nave è parte del territorio nazionale dello Stato di cui batte bandiera e, soprattutto in acque internazionali, fermarla o abbordarla equivale ad un atto di guerra. In un porto la questione ovviamente si complica. La nave rimane legalmente Italia, è più difficile però gestire la situazione dal punto di vista pratico. Così, con la Enrica Lexie ormeggiata a Kochi, la frittata è fatta.

Chi ha preso però la decisione di dirigersi nel porto di indiano? Il comandante, l’armatore? E le autorità militari italiane sono state sentite? In altre parole, come è organizzata la catena di comando che gestisce una nave civile con a bordo militari?

Come accennato, proprio la condizione di “in servizio” dei militari imbarcati sulla Enrica Lexie come sulle altre navi, è uno status giuridico controverso. Se è vero infatti che i militari impiegati in operazioni “ufficiali” godono di immunità e rientrano nella giurisdizione esclusiva del loro Stato, questa condizione è quantomeno dubbia nel caso dei marò fermati in India. Imbarcati sì, ma non esattamente inquadrati in un’operazione come quella che può essere al largo delle coste somali.

Certo, nonostante questa “incrinatura” giuridica, altri Stati sarebbero stati meno ingenui. Nella storia non si è mai visto ad esempio un militare americano trovarsi in una condizione simile e non c’è bisogno di ricordare il Cermis o la vicenda di Giuliana Sgrena. In quei casi però le decisioni venivano prese dalle autorità militari e in quei casi si è vista anche l’arroganza e non solo la tutela degli Stati e dei governi nei confronti dei propri soldati. Stavolta è scattata, più o meno consapevole, una soggezione da “colonialismo” alla rovescia? E proprio la confusione tra autorità civile e militare che governa la condizione dei nostri militari imbarcati su navi commerciali ha verosimilmente fatto sì che Massimiliano Latorre e Salvatore Girone si trovino ora in stato di fermo. Insomma a decidere di andare in quel porto e a consegnare di fatto militari italiani alla molto “politica” giustizia indiana è stato la compagnia armatrice della nave, la Marina Militare italiana, il governo di Roma, il Ministero degli Esteri, il capitano della nave? E chi decide e con quali regole di ingaggio e garanzie sui militari imbarcati su navi civili? Ora i guai grossi sono per i due marò ma se non si chiarisce la catena di comando e quella delle responsabilità bisognerà rinunciare a quel che pure tutti volevano: la protezione di militari imbarcati contro la pirateria.