Nave mercati: “Roma, abbiamo un problema: garrota inversione di credito”

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 10 Novembre 2011 - 16:02 OLTRE 6 MESI FA

foto Lapresse

MILANO – Roma, abbiamo un problema…la garrota dell’inversione del credito. Come dall’Apollo il messaggio è grave, chissà se Roma risolverà come fece Houston per l’Apollo 13. I rumors su Monti in procinto di formare un governo tecnico sembrano, almeno per ora e in piccola misura, avere avuto sui mercati gli effetti rassicuranti sperati. Milano è in crescita, come tutta Europa ma più di tutta Europa, e lo spread con i Bund tedeschi è tornato sotto i 500 punti.

Ma ieri (9 novembre) sui mercati è accaduto un fatto gravemente sintomatico del pessimo stato di salute della nostra economia: i titoli ad un anno sono arrivati a rendere quasi l’8,5%, i biennali il 6,4%, il cinque anni il 7,7% e il decennale – quello su cui si concentra l’attenzione di molti – intorno al 7,4%. Cioè i rendimenti dei titoli a breve hanno superato quelli dei titoli a lungo termine. Fenomeno che i tecnici definiscono “curva invertita”, con la parte breve delle scadenze che rende più della parte lunga. Grecia, Irlanda e Portogallo insegnano che quando la curva dei rendimenti si inverte, i tassi e gli spread possono continuare a salire fino a livelli astronomici, ed insegnano che la comparsa della curva invertita, l’inversione del credito, è ancora una nuova spia dell’ingresso della nostra economia nella “zona di non ritorno”.

A partire dalla mattinata di ieri i rendimenti delle obbligazioni governative sono schizzati a livelli mai visti dopo l’euro. A finire sotto pressione sono stati stavolta i titoli a breve scadenza. In alcuni momenti il BoT annuale ha visto aumentare il rendimento sino all’11.7%, per poi scendere intorno al 9% con un “ask” al 7.2%. Stessa sorte per i titoli biennali, con uno spread sugli omologhi tedeschi di oltre 700 punti, con rendimenti anche oltre l’8%. Gli investitori chiedono ora una remunerazione più alta per investire a breve, perché è nell’immediato che temono di assistere a un «default» del debitore. Semplicemente, pretendono un premio maggiore per mettere in gioco il proprio denaro.

Succede quando il mercato crede seriamente che uno Stato possa non farcela a finanziarsi nel futuro prossimo. E l’Italia davanti a sé ha un calendario impegnativo: solo nel 2012, 440 miliardi di finanziamento che (in teoria) dovrebbe raccogliere sul mercato, di cui ben più di cento nei primi tre mesi dell’anno. A stime prudenti, da ora a marzo il Tesoro ha bisogno di circa 150 miliardi di euro per far fronte ai titoli in scadenza, coprire il fabbisogno e finanziare le spese ordinarie dello Stato. Eppure ormai gli acquisti di Btp sul mercato si sono rarefatti all’estremo. Fa paura l’immediato anche perché più o meno tutti ritengono che a lungo termine una soluzione per l’Italia la si troverà, che quando scadranno i titoli decennali n un modo o nell’altro, con più o meno lacrime, la tempesta sarà alle spalle. Intanto, nell’asta per il collocamento dei 5 miliardi di Bot di questa mattina, i tassi sono schizzati alle stelle. Per trovare compratori, e c’era anche la paura che non se ne trovassero, il Tesoro ha dovuto offrire il tasso record del 6,087% contro il 3,570% di un mese fa. La domanda ha toccato i 10 miliardi.

Il collocamento dei titoli in questione potrebbe anche essere stato aiutato. Un’asta con titoli italiani invenduti avrebbe rappresentato un ulteriore passo nell’avvitamento della nostra economia, e ne era consapevole anche la Bce. Banca Centrale che potrebbe aver dato il suo aiuto nella vendita attraverso il sistema delle “banche specialiste”: da anni il Tesoro lavora con un gruppo di circa venti banche, di cui 18 estere, con l’obiettivo di far funzionare al meglio le aste di titoli di Stato. Questi istituti «specialisti» si sono impegnati a comprare direttamente alle aste almeno due terzi dell’ammontare di debito emesso dall’Italia ogni anno. In realtà ne assorbono spesso circa il 99%, quindi lo rivendono in gran parte sul mercato.

Il problema ora è assicurare la stessa copertura in tempi di emergenza, ed è qui che la rete dei contatti fra istituzioni può aver portato una (relativa) sicurezza. Le banche specialiste hanno parlato a lungo con il Tesoro, sotto la guida di Vittorio Grilli e della responsabile della gestione del debito Maria Cannata. Dopo molti contatti anche con la Banca d’Italia, alcuni dei banchieri privati coinvolti hanno l’impressione che sull’intera operazione ora esista una garanzia implicita della Bce.

Nella City, in particolare, molti pensano che la parte di Bot e Btp che nessuna banca vuole comprare all’asta possa di fatto essere assorbita dall’Eurotower. In realtà per la Bce è illegale acquistare titoli di Stato all’emissione. Ma i banchieri «specialisti», che hanno discusso a lungo con le autorità coinvolte, pensano di poter rivendere subito a Francoforte la parte della carta italiana per la quale non hanno alcun appetito. Probabile che, se è vera, nell’immediato questa strategia possa funzionare, ma nei prossimi mesi pieni di rifinanziamenti essa appare impraticabile.

Ma dalla spirale in cui il nostro Paese sempre più s’avvita, si può uscire. Le previsioni generalmente per noi non sono ottimistiche, ma un briciolo di speranza la lasciano, a patto che un governo Monti, o tecnico comunque, veda presto la luce e prestissimo metta mano all’economia.

Barclays sostiene che il nostro Paese è “in una spirale dalla quale è molto difficile uscire” e che “probabilmente siamo oltre il punto di non ritorno”. Nonostante i fondamentali dell’economia siano buoni – come ha ricordato anche un rapporto di Blackrock – l’Italia è in una “zona grigia” dove gli investitori cominciano a non fidarsi più e si contagiano a vicenda. Uno scenario noto attraverso cui sono già passati Grecia, Portogallo e Irlanda, paesi che hanno dovuto chiedere nell’ultimo anno e mezzo un corposo prestito all’Europa e al Fmi per non fallire.

Goldman Sachs ritiene che nelle prossime ore possiamo contribuire a rovinarci definitivamente oppure tentare un faticoso recupero. La banca d’affari americana è chiara: gli scenari che stanno scaturendo dalle nebbie dell’attuale crisi di governo avranno conseguenze molto precise sugli spread. Un Governo di unità nazionale «guidato da una personalità esterna autorevole» è chiaramente l’ipotesi più auspicabile. Questa soluzione, sempre per Goldman Sachs, riporterebbe lo spread a 350 punti.

Se non è già troppo tardi, il governo tecnico è l’ultimissima spiaggia.