Sarajevo 25 anni dopo, la memoria non si cancella

di Antonio Buttazzo
Pubblicato il 22 Aprile 2019 - 06:50 OLTRE 6 MESI FA
Sarajevo 25 anni dopo, la memoria non si cancella (foto Ansa)

Sarajevo 25 anni dopo, la memoria non si cancella (foto Ansa)

Atterra in una deliziosa conca punteggiata dal verde dei Balcani il bimotore ad elica partito poco più di mezz’ora prima da Belgrado.  Sarajevo, capitale lunga e stretta della Bosnia, la più martoriata delle Repubbliche nate dalla dissoluzione della Jugoslavia. 

L’architettura istituzionale del generale Tito aveva tenuto bene fino alla sua morte, nel 1980, riunendo austroungarici e levantini, ortodossi e musulmani, balcanici e albanesi. Un capolavoro politico e diplomatico che lo aveva tenuto indenne anche dalle mire espansionistiche della URSS, visto che la Jugoslavia (con l”India) era il paese leader tra quelli “non allineati” durante la divisione del mondo in 2 blocchi.

Per 10 anni, le tensioni tra le diverse comunità etniche, dalla fine della seconda guerra mondiale tenute insieme artificiosamente, prendevano lentamente forma. Sino a quando nel 1992, gli appetiti politici di Serbi e Croati, non divennero parte di un più grande progetto volto ad affermare la supremazia etnica di cetnici ed ustascia sugli altri territori e genti dei balcani. Provarono prima ad attaccare la Slovenia, ma la guerra a Lubjana e dintorni durò pochi giorni. Troppo forti le protezioni europee, soprattutto di Germania ed Austria. Toccò dunque alla Bosnia essere teatro dell’ultimo sanguinoso conflitto dello scorso secolo.

Le enclave serbe e croate su quel territorio facilitarono il compito dei macellai croati ma soprattutto serbi. Sino ad arrivare all’assedio di Sarajevo, durato 4 anni, dal 92 al 96. Una guerra nel cuore dell’Europa che la comunità internazionale non seppe o non volle evitare. Una città pacifica, colta, multietnica costretta a subire l’assedio delle forze serbo-bosniache che la cannoneggiavano dalle deliziose alture della città. Fiaccata dai cecchini appostati nei palazzi sui viali della città (famoso quello di ulica zmaje od bosne), Sarajevo è stremata per 1500 giorni. Unica via di fuga un tunnel, oggi detto della speranza, che la collegava all’aeroporto controllato dalle forze dell’Onu. Nei due sensi transitavano uomini, donne, bambini, ma anche armi e munizioni.

Intanto i generali Karadzic e Mladic, agli ordini del presidente serbo Milosevic, si rendevano responsabili di orribili stragi in tutta la Bosnia. Srebrenica , Tuzla, Mostar, città il cui martirio veniva annunciato tutti i giorni sui nostri Tg all’ora di pranzo. A 200 km in linea d’aria da Ancona, vecchi, donne e bambini venivano sgozzati, mutilati, stuprati dalla follia serbo nazionalista. I bosgnacchi (musulmani di Bosnia) da secoli pacificamente conviventi con ortodossi, cattolici, ebrei, erano umiliati dai loro stessi vicini, dai loro stessi parenti.

A Srebrenica, dalle 20 alle 50 mila donne furono stuprate. Furono stupri etnici, affermò il Tribunale Penale Internazionale. I figli di quella “colpa”, oggi quasi trentenni, si sono riuniti in una associazione, Zaboravljena Djeca Rata, letteralmente “figli dimenticati dalla guerra”.

Rivendicano riconoscimento, diritti, dignità. Non è facile. Troppo recenti quelle ferite tra le comunità. Gli accordi di Daytona del ‘96, hanno posto fine alla guerra, hanno sterilizzato le colpe della Comunità Internazionale, ma non hanno cicatrizzato tutte le ferite in questa terra martoriata. Sarajevo è tornata ad essere bella, civile, tollerante. 

La maggioranza bosgnacca musulmana convive pacificamente con le minoranze ebree e cristiane. Chador e minigonne sfilano tra le belle strade dello storico quartiere di Bascarsija. Ma ancora i segni della guerra li vedi nelle “rose di Sarajevo”, crateri provocati dai mortai serbo croati, che a imperitura memoria i cittadini di Sarajevo hanno segnato di rosso per le strade, o nei fori da mortaio lasciati sui bei palazzi austroungarici di Ulica Marsala Tito. Ma più ancora, nei profondi e tristi occhi scuri degli anziani di Sarajevo. È li che resta iscritto l’orrore di una guerra crudele nel cuore di una distratta Europa.