Di Pietro cade: dopo Berlusconi, Grillo. La sua antipolitica non serve più

di Antonio Del Giudice
Pubblicato il 18 Novembre 2012 - 09:21 OLTRE 6 MESI FA
Di Pietro cade: dopo Berlusconi, Grillo. La sua antipolitica non serve più

ROMA – Antonio Di Pietro, secondo quel che riferiscono i giornali, annuncia le dimissioni a breve da presidente dell’Italia dei Valori. Per subito, promette di cancellare il suo nome dal simbolo dei partito e forsanche di cambiare il simbolo stesso. Queste scelte lo mettono sulla stessa strada di Silvio Berlusconi e di Pierferdinando Casini, suoi acerrimi nemici più che avversari. I nomi nei simboli non tirano più, se anche una manifestazione convocata a sostegno di Berlusconi va deserta. Fino a un paio di anni fa, Berlusconi avrebbe ancora oscurato le adunate di piazza Venezia, quelle col marchio doc della Buonanima.

Ora, se Di Pietro segue la sorte dell’uomo di Arcore, c’è qualcosa che non funziona. In genere, quando cade il leader avverso, tocca alle opposizioni prenderne il posto. E’ la regola delle democrazie, e lo è anche di una democrazia sgangherata come la nostra. Fino a un anno fa, l’ex pm di Mani pulite sembrava lanciato in una corsa inarrestabile. Un Gigante contro il mondo: contro Napolitano, contro Berlusconi, contro Bersani, contro Casini, contro il resto del mondo.

Di Pietro si era convinto di essere la sola alternativa alla destra, avendo lui nel dna quel tanto di destra e quel tanto di grillismo ante-litteram che ne facevano l’ideale catalizzatore di consensi, mentre i partiti più o meno tradizionali erano allo sbando, presi a fischi e pernacchie nella pubblica piazza. Nel volgere di qualche settimana, quei fischi e pernacchie si sono abbattuti sul medesimo Di Pietro con la violenza propria dei temporali improvvisi ed imprevisti.

Com’è stato possibile? Davvero il merito (o il demerito, a seconda dei punti di vista) è della sola Milena Gabanelli e del suo Report? L’impressione di chi guarda la politica senza aspettative miracolistiche è che Di Pietro fosse condannato a cadere con Berlusconi. Oltre le voci più o meno interessate sulla sua gestione del partito, sui fondi e sulle case, c’è qualche altra ragione dietro la caduta.

L’ex-pm non serve più a nessuno, ora che il Grande imputato ha lasciato la guida del governo, travolto dai suoi grossolani errori e dall’antipolitica che, lui stesso, vent’anni fa aveva inventato. E, vent’anni fa, l’altro polo dell’antipolitica era proprio Antonio Di Pietro; al punto che destra e sinistra se lo disputavano: Berlusconi lo voleva ministro, dopo averlo sostenuto con le sue tv nell’opera di demolizione dei vecchi partiti; D’Alema lo fece senatore del Mugello. L’uomo che voleva “sfasciare” Bettino Craxi, lasciò la toga per ragioni ignote e approdò da vincitore a Palazzo Madama e poi nel governo dell’Ulivo.

Quella stagione è finita come tutti sanno. Berlusconi è solo e (si fa per dire) disperato, pronto ad inventarsi il calcio dell’asino; il Pdl arranca senza capo e senza soldi; Grillo ha rimpiazzato l’antipolitica che vent’anni fa era la prateria di Berlusconi e di Di Pietro; Casini cerca di intrupparsi con Montezemolo, pena l’inutilità del suo 4-5 per cento; Bersani si è rimesso in piedi, alla meglio, grazie anche al detestato Renzi; Vendola riprende fiato e si appresta ad entrare nel Pd, se la politica ha una logica; il resto è disinteresse per la politica. Tant’è che l’esiliato Berlusconi ricomincia con il ritornello dell’antipolitica che funzionò vent’anni fa, ma che adesso è monopolio di Grillo. In questa situazione, a chi serve Di Pietro? A nessuno.

Ricordate Antonio Razzi, il deputato italo-svizzero eletto con Di Pietro e passato con Scilipoti al servizio di Berlusconi? L’estate del 2011 l’ho incontrato su una spiaggia abruzzese, mentre si godeva le meritate vacanze. Convenevoli, chiacchiere e un po’ di politica da bar. L’imprevedibile Razzi a un certo momento si lancia in una profezia: “Se finisce Berlusconi, finisce anche Di Pietro. Sono uguali, due padroni con una solo differenza: Berlusconi è più generoso, Di Pietro è un padroncino che pensa solo a se stesso. Uguali, lo assicuro”. Razzi non sarà uno statista e neanche un profeta. Ha detto quello che tutti sapevano o che avrebbero dovuto sapere.