Vaticano e grande finanza (laica): in campo il clan dei genovesi

di Franco Manzitti
Pubblicato il 16 Luglio 2011 - 10:15 OLTRE 6 MESI FA

Certo che chiamarlo clan quando nella sua composizione appare un personaggio del calibro etico-giuridico di Giovanni Maria Flick, ex ministro di Giustizia del governo Prodi I, ex presidente della Corte Costituzionale e notissimo avvocato può far saltare in aria qualche benpensante. Ma che l’operazione salvataggio dell’ospedale San Raffaele, il “tempio” del mitico don Verzè, possa essere ascritta a una santa alleanza, proprio santa perchè ispirata dal Vaticano, e alla sua propaggine genovese, denominata, appunto clan, è fuori di dubbio.

Chi lancia la ciambella di salvataggio allo sprofondante superospedale milanese tanto carico di competenze quanto di debiti se non il Vaticano, sotto la regia del cardinale arcivescovo Tarcisio Bertone, segretario di Stato, in qualche modo oramai considerato un genovese, malgrado le sue origine eporediesi, essendo nato all’ombra delle torri della bella Ivrea, ma avendo raggiunto il soglio sotto quello del papa dalla catapulta della nobile arcidiocesi genovese, attraverso la quale ha importato chierici, segretari, vescovi, cardinali, manager e perfino semplici cerimonieri di varie liturgie? E chi è lo studio legale che sta affilando l’operazione salvataggio se non il grande ufficio, quarto in Europa, primo in Italia Bonelli-Erede-Pappalardo, alla cui testa siede il tosto avvocato Franco Bonelli?

E’ un’operazione di salvataggio da 400 milioni di euro, 200 già pronti per lo Ior, l’istituto bancario vaticano, nelle mani del presidente Ettore Gotti Tedeschi, molto legato a Tremonti, ma anche e sopratutto a Bertone e al prefetto della Congregazione dei vescovi, Giovanni Battista Re. Gli altri duecento milioni sono da rastrellare nelle banche con un ruolo chiave di una Charity straniera, della quale si occuperebbe il magnate George Soru. Ma tutta la macchina che si muove in soccorso potrebbe essere saldamente in mano di quello che qualche tempo fa è stato un po’ pelosamente definito il “clan dei genovesi” per la prevalenza di personaggi in qualche modo legati al passato recente di Tarcisio Bertone sotto la Lanterna, negli anni che si sono consumati tra il “regno” del cardinale Dionigi Tettamanzi e il cardinale-presidente della Cei, Angelo Bagnasco, in uscita da Milano il primo e tutt’ora insediato il secondo, nella cattedra genovese di San Lorenzo. Chi spicca, con in mano il salvagente per il San Raffaele, oltre all’ex ministro e superavvocato Flick?

Tra i finanziatori ecco Vittorio Malacalza, grande self made man di origini piacentine, 73 anni, imprenditore nato con il commercio dell’acciaio, poi divenuto proprietario della Trimetal, venduta agli ucraini quattro anni fa per una cifra da sballo, oggi con i figli al centro di un impero tra i più solidi del Nord italiano con aziende in diversi settori, in particolari quello energetico e alta tecnologia (è sua Asg Superconductors) e ruolo finanziario decisivo nella holding Pirelli, della quale è vicepresidente.

I genovesi, quelli che non mettono il naso fuori dalla città, non lo hanno voluto qualche anno fa alla presidenza degli Industriali, preferendogli il giovanissimo Giovanni Calvini, titolare con il padre Adriano di una importante azienda importatrice di frutta secca e Malacalza si è scatenato a Milano, non senza avere cercato altri spazi a Genova, dove le autorità costituite non gli hanno concesso neppure uno spazio di 25 mila metri quadrati sulle banchine del porto per caricare e scaricare i maximagneti che servono a far funzionare le sue aziende energetiche.

Se ne è dovuto andare a La Spezia, mentre le banchine genovesi continuano a funzionare a singhiozzo, strangolate tra liti interne di operatori, inchieste giudiziarie che impauriscono fuori misura e vischiosità infrastrutturali quasi insuperabili.

Era quasi automatico che Bertone pensasse a lui, un imprenditore disponibile e aperto. Ma la figura più discussa dell’operazione salvataggio ed anche quella che potrebbe diventare operativamente la chiave della mission che il Vaticano sta studiando, è Pino Profiti,49 anni,  presidente dell’ospedale infantile Bambin Gesù di Roma, l’ospedale vaticano per i bambini sul quale Bertone sta giocando una partita fortissima.

Profiti, che arriva da Genova dove era stato direttore generale dell’assessorato al Bilancio della Regione e dove Bertone lo aveva voluto vice nel consiglio di amministrazione dell’Ospedale Galliera, secondo per importanza in città e da sempre gestito, per volontà dei nobili fondatori, i duchi di Galliera, dalla Curia genovese, potrebbe diventare l’anello di congiunzione tra gli ospedali romani targati Santa Sede (appunto il Bambin Gesù e il Gemelli) e il san Raffaele che il salvataggio porterebbe nell’orbita”celeste” del Vaticano.

Non ha avuto nessuna incertezza il segretario di stato ad indicare Profiti, malgrado la condanna a sei mesi per turbativa d’asta che la Corte d’Appello di Genova gli ha recentemente comminato per una oscura vicenda di tre anni fa nella quale il supermanager era stato coinvolto insieme a personaggi del sottobosco politico genovese negli appalti per la mensa del Comune e dello stesso ospedale Galliera. La Chiesa evidentemente dà più peso alla giustizia divina che a quella umana, specie a quella italiana.

Profiti è stato condannato per turbativa d’asta, mentre la sua difesa continua a sostenere che quella asta non c’era mai stata. Lo schema dell’accusa ripete la stessa rivolta al presidente del porto di Genova Giovanni Novi e altri illustri personaggi genovesi accusati di avere assegnato una parte dei moli e delle banchine violando le regole dell’asta (con successiva  assoluzione da tutte le dieci accuse tranne una).

Ma la condanna, ripetuta in secondo grado, non ha smosso di un millimetro il Vaticano e Bertone, che ha messo Profiti nel board di salvataggio del san Raffaele, così come lo aveva riammesso subito al timone del Bambin Gesù, all’indomani dell’arresto genovese. Come se niente fosse, malgrado le diffidenze e le facce storte in Vaticano e anche nei corridoi del Bambin Gesù.

Il ruolo possibile di Profiti non farebbe troppa ombra a Don Verzè. Più decisivo sarà probabilmente il ruolo di Enrico  Bondi, gran tagliatore di costi in Telecom post bolla e soprattutto gran risanatore di Montedison e di Parmalat, che costituisce l’unica nota etnicamente stonata, almeno in parte, essendo nato ad Arezzo con un cognome toscano anche se con chiara discendenza dai liguri che nel neolitico occupavano tutto il nord Italia.

Don Verzé, resterebbe, almeno sul piano dell’immagine, al centro di tutta l’operazione, rilanciato anche dalla recente rivalutazione del patrimonio San Raffaele, risalito di 20 milioni nel calcolo degli esperti. Debiti con i fornitori di 600 milioni di euro, fatturato 600 milioni, perdite dichiarate 60 milioni a fronte di un patrimonio, appunto in fase di valutazione, ma intorno ai 48 milioni.

 

Se sarà il clan dei genovesi a partire per affrontare l’emergenza le cifre da affrontare sono queste con una ciliegina sulla torta. Infatti il papa Ratzinger, subito dopo il varo dell’operazione San Raffaele, ha nominato, ovviamente su suggerimento del cardinal Bertone, a guidare l’Apsa , Amministrazione Patrimonio Santa Sede, un altro genovese, monsignor Domenico Calcagno, nato a Parodi Ligure, cresciuto nella Diocesi di Genova, ex vescovo di Savona, legato stretto al clan dei genovesi. L’Apsa è, con lo Ior, il ponte di comando delle ramificate finanze vaticane, sempre circondate da un alone di mistero, meno fitto di quando governava il leggendario e molto diabolico monsignor Marcinkus, ma pur sempre intrigante.

La partita nella quale ora entra il clan dei genovesi, non a caso gente che per storia e tradizione di moneta e palanche, si intende storicamente, è molto delicata perchè la Chiesa nel suo complesso sta affrontando un’emergenza epocale: quella di far fronte con la sua finanza e i suoi meccanismi il disavanzo che galoppa per il calo delle risorse provenienti dalle chiese locali. Una oculata attività finanziaria può sopperire al calo che colpisce opere e strutture nel mondo, che venivano alimentate dai canali “classici”. Ora tutto cambia: non ci sono più finanziamenti pubblici in arrivo da grandi eventi. In Italia i mega raduni religiosi non hanno più la benzina che li faciliti e all’estero sono perfino sotto processo le spese dei governi per i viaggi del Papa. Che fare? Chiedere aiuto al clan dei genovesi.

Per un ricorso storico che in Vaticano certamente attribuirebbero all’intervento della Provvidenza la presenza ligure nelle stanze del tesoro papale vanta illustri precedenti. Pochi ricordano il nome e le opere di Meliaduce Cicala, tesoriere della Camera Apostolica, vescovo di origine savonese, che è  invece immortalato da uno gioiello dell’arte romana, la chiesa di San Giovanni dei Genovesi, da lui fatta costruire, a tempo di record, tra il 1481 e il 1492, accanto a quello che in quei tempi era il porto di Roma, tra l’Isola Tiberina e Porta Portese.