L’occasione del referendum e la crisi dei partiti

Pubblicato il 1 Ottobre 2011 - 21:01 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Il referendum abrogativo della legge elettorale vigente può essere l’occasione per il sistema dei partiti di riguadagnare la fiducia che hanno perduto. Se ne sono capaci possono ristabilire un corretto rapporto con i cittadini-elettori cui hanno sottratto, nell’autunno del 2005, la possibilità di scegliere i loro parlamentari, cardine della democrazia rappresentativa. Arrogandosi il potere di imporre, con il sistema delle liste bloccate, nomine perfino discutibili, sottratte al vaglio popolare, i partiti hanno toccato il fondo che in sei anni non sono stati capaci di risalire.

Sprofondati nella palude da loro stesse creata, le classi politiche hanno vissuto – e per certi versi sembrano ancora vivere – in una sorta di limbo dorato ed inattaccabile, mentre attorno al Palazzo tutto crolla. Ci si domanda come sia stato possibile consumarsi nell’illusione che i cittadini si sarebbero assuefatti alla protervia di nomenclature usurate, incapaci di guardare oltre il loro “particulare”. Resta un mistero.

Il referendum rimette in moto la politica (sia pure una non eccelsa politica) costringendo i partiti a trovare il modo di ridare lo scettro al popolo. Nessuno può immaginare al momento quale sarà l’esito parlamentare di una riforma diventata improcrastinabile. Si discute, più o meno a vanvera, di sistemi da importare o da modificare come fossero organismi genetici. L’impressione è che nessuna forza politica abbia la ricetta giusta o, quantomeno, plausibile da proporre per rivitalizzare la democrazia italiana. E così si brancola nel buio, tirando fuori ogni tanto una proposta bislacca che va ad affastellarsi ad altre non meno bislacche periodicamente sfornate da dilettanti di politologia e da sedicenti studiosi di sistemi elettorali.

È pure probabile che la politica, volendo dimostrare fino in fondo la sua impotenza, decida di non far celebrare il referendum staccando anzitempo la spina alla legislatura e mandando i cittadini a votare con la legge che tutti vorrebbero cancellare. Se l’ipotesi prendesse corpo saremmo di fronte al più grave attentato alla democrazia perpetrato in Europa dalla fine del secondo conflitto mondiale. Non si tratta di una fantasia che scaturisce dalla considerazione più negativa dei partiti, ma dalla valutazione di alcuni movimenti scomposti, soprattutto ( e duole dirlo) registrati nelle file della maggioranza che fanno ritenere come per alcuni il voto anticipato sarebbe, dopotutto, il minore dei mali anche se il centrodestra dovesse andare a frantumarsi contro un iceberg.

Per quanto difficile da decifrare questa eventualità è stata ventilata da autorevoli esponenti del Pdl per i quali, evidentemente, sarebbe meglio garantire la rielezione dei propri famigli che approvare una decente legge elettorale, attuare le necessarie riforme che favoriscano la crescita, prendere tutto il tempo necessario per svelenire gli animi e poi affrontare, con la serenità che oggi appare utopistica, una competizione elettorale meno velenosa e, auspicabilmente, addirittura costruttiva.

Comunque vadano le cose, il referendum costringe partiti e schieramenti a ripensare se stessi. Ogni mossa tesa a sabotarlo non potrà che avere conseguenze nefaste. Il pericolo dell’incendio è dietro l’angolo. Così come incombente, a seconda delle scelte che nei prossimi mesi verranno compiute, è il rischio che perfino la democrazia dell’alternanza vada a ramengo se le contingenze dovessero portare all’abrogazione non della legge-porcata, ma di quel bipolarismo che resta, pur con tutti i limiti che gli riconosciamo, la sola innovazione politica degli ultimi vent’anni.

A tale riguardo mi chiedo se non sia il caso che i due maggiori partiti, Pd e Pdl, sicuramente bipolaristi, depongano per un breve lasso di tempo le armi e formulino una proposta accettabile, tale da salvaguardare il principio maggioritario. Non dovrebbero lasciarsi spaventare dagli alleati minori, naturalmente, e sottrarsi di conseguenza ai loro inevitabili tentativi di ricatti con la forza che hanno in Parlamento e nel Paese.

Insomma, nessuna legge elettorale destinata durare la si può varare a danno di qualcuno, ma bisogna cercare di contemperare le esigenze di tutti, per rispondere alla pressante richiesta dei cittadini che vogliono riappropriarsi del diritto di eleggere deputati, senatori, premier e governo. E giacchè ci siamo la si faccia pure finita con questa caricatura di presidenzialismo e, a tempo debito, si riformi il sistema per come i tempi richiedono.