La paura è lo spirito del nostro tempo

di Mario Lenzi
Pubblicato il 3 Dicembre 2009 - 10:02| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Se dovessimo esprimere con una sola parola lo Zeitgeist , lo “spirito del tempo”, dovremmo dire che questo nostro è il tempo della paura. Ci sono state altre epoche, che furono chiamate dell’ansia. Oppure del ferro e del fuoco. Ci sono state anche le epoche delle certezze, delle rivoluzioni, dei costruttori. La nostra ha un segno, la paura.

Tutti hanno paura. E quelli che fanno la voce grossa, sono come bambini che strillano nel corridoio buio. Berlusconi ha paura di tutto, come i cavalli delle ombre: ha paura della moglie, delle escort, dei mafiosi, ma sopratutto delle lancette implacabili dell’orologio, la vecchiaia, la morte. Fini è inquieto, diviso com’è fra la gratitudine che deve al suo sdoganatore e quello che è venuto a sapere sul suo conto, teme i suoi ex compagni di strada, i picchiatori di froci e di ragazzi soli, che gli rimproverano il passato dei vessilli neri, vorrebbe liberarsi dell’uno e degli altri, ma ha paura perfino di parlare, dice solo quello che può, a mezza bocca. Bersani è incerto fra quello che deve e quello che vuole, ha nostalgia delle sue certezze di ragazzo quando pregava nell’oratorio e a dargli fiducia c’erano grandi bandiere rosse al vento e ora gli operai, i disoccupati , i precari hanno cambiato volto, lo guardano senza tenerezza. Solo gli incoscienti, gli immarcescibili, i paghi di se stessi, i Bossi, i Gasparri, i Brunetta non hanno bisogno di nessuno, non hanno paura.

E la paura non si ferma ai politici. Anche gli impiegati e i professori hanno paura. I ricchi e i poveri. I manager e le casalinghe . Anche chi abita in periferia, nelle strade più buie, o chi sta in pieno centro. Le donne, tutte, hanno paura. Temono di uscire la sera, di entrare in un garage deserto, di salire in un ascensore.

C’è , sicuramente, un problema di immigrati. Grazie a Maroni e ai suoi leghisti di terraferma, abbiamo addirittura sbarrato il mare , abbiamo costruito un altro muro. Ma è un muro sull’acqua. In tutti i sensi. Hanno un bell’affannarsi le alte gerarchie della Chiesa a predicare i valori dell’accoglienza. Nelle chiese, fra il popolo minuto che era cristiano, i parroci ricattano le donne con richiami ancestrali: state attente alle rumene, alle polacche, alle moldave, sono giovani e scostumate, vengono qui a rubarvi i mariti, a sfasciare le vostre famiglie. Lo straniero, il diverso, sta diventando il Male.

E non è più nemmeno soltanto un problema di immigrati. Ormai vediamo e sentiamo il Male dappertutto . I politici che viaggiano rinserrati nelle loro lunghe auto blu con tanto di scorta davanti e dietro, e che a suo tempo hanno evocato la bella trovata della sicurezza per vincere le elezioni, cominciano a rendersi conto della tempesta che hanno provocato e che ora li sommerge. Si presentano in TV ( per quanto tempo ancora ?) per discutere sul sesso degli angeli e altre questioni di grande attualità. Sono sempre così impegnati in queste evanescenti esibizioni che non si riesce a capire dove trovino il tempo per dedicarsi allo studio dei problemi. Altri evidentemente preparano la scaletta per loro. Ma almeno trovassero il modo di vedere quello che succede nelle strade.

Non so se ci avete fatto caso, ma da un po’ di tempo nelle strade è tornato il coltello, una volta confinato ad alcune regioni ma anche qui quasi scomparso, e ora tornato in auge come arma principe. Non passa giorno che non si senta parlare di risse, per motivi di traffico o per uno sguardo di troppo a una ragazza appariscente, di qualcuno che tira fuori il coltello. Evidente simbolo di paura e di insicurezza, il coltello è un’arma alla portata di tutti e difficilmente controllabile. Ormai sono tanti gli automobilisti che lo tengono nel cruscotto coi documenti di guida.

Intendiamoci, un cannibale resta tale anche se conosce il galateo e usa forchetta e cucchiaio per mangiare educatamente il suo simile. Un delinquente non si emancipa se usa armi da fuoco, anzi. Ma l’arma da taglio, ormai così diffusa, denuncia, col suo primitivo richiamo al segno crudele del sangue, il disgregamento e l’imbarbarimento di una società dove gli individui annaspano sempre più impauriti e sempre più convinti che anche nella sicurezza il “fai da te” è un ritrovato indispensabile. Non bastano i carabinieri, la polizia di stato, la guardia di finanza, i vigili urbani, le ronde padane, le squadre dei partiti, i volontari verdi, gli assistenti civici, gli angeli della notte, le pattuglie rosa. Tutto il territorio è sotto controllo. Ci sarà rimasta una piazza dove uscire tranquilli quando fa buio?

C’ è qualcosa di sinistro in questa mania di voler distruggere a tutti i costi il Male (o di nasconderlo, che è più facile). Perché improvvisamente questa paura diffusa dei mendicanti, delle prostitute, degli zingari, dei trans, dei fuoricasta di ogni tipo e colore ? É stato osservato tempo fa da Michele Serra che ogni tipo di società ha avuto la sua dose di devianti dalla norma. Non è mai esistita una società di tutti belli, tutti ricchi, tutti gentilissimi. La New York delle origini raccontata da Scorsese, la Londra sordida e infida di Dickens, la Napoli brulicante e sfacciata della Serao, la Milano elemosinante e cenciosa di Carlo Porta, e potremmo aggiungere la Parigi dei bassifondi nei “Miserabili” di Victor Hugo, non erano finzioni letterarie. Erano testimonianze.

E allora perché, proprio ora, c’è questo accanimento contro il diverso e anche i più modesti impiegati tremano, come se un nemico bussasse alla porta per derubarli? Perché questa paura diffusa, perfino di chi abita nel condominio, quando una volta eravamo pieni di certezze e di speranze? E perché proprio ora, egoisti e ciechi, ci si aggrappa alla destra e alla Chiesa pur di salvare i nostri piccoli privilegi, in terra e in cielo, magari mettendo una bella croce sulla bandiera, quel bel tricolore che per i nostri padri era un onesto segnale di fiducia e di riscossa?

Un oscuro senso di colpa collettivo ci tormenta. Tutti sappiamo che la nostra società è profondamente ingiusta , che l’ultimo (in ordine di tempo) agente di squilibrio, il capitalismo globalizzato, ha devastato il mondo, che centinaia di milioni di persone sono state ridotte alla fame e premono ai confini delle società più ricche, dal Sud Africa al Golfo Persico, dall’America dell’ovest al Mediterraneo. Tutti avvertiamo nel subcosciente che sta maturando qualcosa di terribile, che appena una qualche nuova forza da incubo gli darà il via, tutto il resto del mondo ci salterà addosso.

Non sarà così, perché la storia non finirà mai di sorprenderci, ma intanto viviamo nella paura; e nel mendicante che ci disturba ai semafori individuiamo l’ombra minacciosa che si proietta sulla Terra. Nel vecchio amico di un tempo, il postulante che viene a tormentarci. Perfino nei bambini che nascono, la nuova invasione di barbari che liquiderà come un passato di infamie le molte cose che abbiamo amato.