Emanuela Orlandi: 30 anni dopo, copione misterioso

di Pino Nicotri
Pubblicato il 2 Maggio 2013 - 10:46 OLTRE 6 MESI FA
Emanuela Orlandi: scomparsa 30 anni fa

Il mistero di Emanuela Orlandi riserva ormai una sorpresa al giorno e, anche se si tratta di sorprese che non convincono nemmeno chi ce le elargisce, Fabrizio Peronaci sul Corriere della Sera, lui ha colpito anche il primo maggio. Titolo:

“Emanuela, Agca e i messaggi criptati: si cercano riscontri sul telefonista. Sotto esame i quotidiani dell’epoca. Il 22 giugno 1983 la Orlandi scompare, il 25 l’attentatore del Papa chiede «risposte» al Vaticano, il 28 scagiona i bulgari”.

Peronaci rilegge e collega tre ritagli di giornale di 30 anni fa (guarda i ritagli dei giornali dell’epoca cliccando qui):

1. “Il 24 giugno 1983, due giorni dopo il sequestro di Emanuela Orlandi [scritto così, senza dubbi né virgolette], appare il primo trafiletto: «Scomparsa una ragazza di 15 anni».

2. Sempre il 24 giugno, “a fianco, il seguente titolo: «Ricerche: cadavere nel Tevere?».

3. “Il 25 giugno, sempre su Il Tempo , un servizio  racconta il contenuto di una lettera spedita da Alì Agca al cardinal Silvio Oddi nel settembre 1982: «Sono un terrorista pentito. Vedremo cosa succederà in futuro. Ho scritto anche ad Agostino Casaroli. Spero che qualcuno mi risponderà dal Vaticano»”.

Secondo Peronaci,

“la triangolazione di questi articoli – a partire dal criptico messaggio dell’attentatore turco – è al centro delle verifiche sull’attendibilità di Marco Fassoni Accetti, il supertestimone che ha ammesso [meglio sarebbe dire: ha affermato o millantato] di essere stato un telefonista del caso Orlandi e ha anche indicato Villa Lante, [a Roma, ai piedi del] Gianicolo, come primo posto in cui fu portata Emanuela (martedì 30 aprile la madre superiora ha iniziato a cercare gli elenchi degli ospiti di 30 anni fa)”.

Peronaci non crede probabilmente a quello che scrive: conosce la vicenda di Emanuela Orlandi come pochi, ma ormai qualcuno ha messo in moto un diabolico ingranaggio. Qualcuno, che ha studiato a fondo le carte delle varie inchieste, si è letto tutti i libri e documenti pubblicati sulla vicenda, conosce tutti i dettagli a menadito, questo qualcuno, negli anni scorsi, a più riprese, appena l’interesse per il caso si attenuava, faceva da megafono a rivelazioni improbabili, supertesti inattendibili: se ne sono viste, sentit e lette di tutti i colori, inclusa una allegra spedizione in barca a vela verso la Turchia a cercare in mezzo alla Anatolia il rifugio segreto dove ora sarebbe vissuta Emanuela Orlandi.

Ora che si sta avvicinando il trentesimo anniversario della scomparsa di Emanuela Orlandi, il 22 giugno 1983, siamo alla escalation: arriveremo tra meno di due mesi ai fuochi d’artificio?

Nell’attesa, Marco Fassoni Accetti imperversa e tiene banco. Ormai si può dire quasi di tutto perché per ruoli minori di un eventuale rapimento o occultamento di cadavere ormai chi parla dovrebbe essere sotto lo scudo della prescrizione. Però, visto il fascio di luce acceso sulle improbabili rivelazioni degli ultimi tempi e l’attenzione anche di politici di rilievo nazionale che ci si sono prestati, come Walter Veltroni, i magistrati incaricati dell’inchiesta devono sottrarre tempo a casi più urgenti per seguire improbabili piste.

Si tratta di un dovere cui nemmeno i giornalisti possono sottrarsi, pur facendo di tutto per mettere in guardia i lettori. Così fa Peronaci che scrive:

“Riletti oggi, quei tre ritagli potrebbero […] rafforzare la pista emersa all’epoca, il sequestro di una cittadina vaticana (inizialmente «simulato», poi vero) per ottenere la ritrattazione del feritore del Papa, pista in cui continua a credere anche Ilario Martella, il giudice istruttore sull’attentato dell’81”.

“Ecco come Accetti, che lascia intendere di aver agito in collaborazione con elementi legati ai servizi segreti dell’Est dotati di «entrature» nelle redazioni [fantasia scatenata del misterioso autore che ha letto anche i giornali al tempo del famoso “dossier Mitrokin”], racconta il retroscena dei tre articoli: «Il trafiletto sulla scomparsa della Orlandi era collocato a fianco alla notizia della Fiat 127 da noi gettata nel Tevere il giorno prima, con il braccio di un manichino fuori dal finestrino. Quel gesto conteneva messaggi in codice di minaccia contro una persona»”.

“Ma è l’articolo del 25 giugno che, secondo Accetti, diventa «straordinariamente» rivelatore: «Agca aveva scritto la lettera a Oddi un anno prima, come si spiega che diviene pubblica solo quando Emanuela Orlandi sparisce? Perché ha ottenuto ciò che voleva: premere sulla Santa Sede attraverso un sequestro di persona per ottenere la grazia»”.

La sequenza dei ritagli,

“così squadernata sul tavolo dei magistrati 30 anni dopo, nel caso Orlandi oggi a una svolta potrebbe essere considerata un primo, serio elemento di prova”.

Fa sempre più l’impressione delle parole di introduzione e conclusione delle puntate di “Desperate Housewifes”. Solo che qui c’è di mezzo una ragazzina che ora non c’è più.