Corte Costituzionale: indecente scaricare i malumori sulla istituzione massima

di Salvatore Sfrecola
Pubblicato il 3 Ottobre 2014 - 13:52 OLTRE 6 MESI FA
Corte Costituzionale: indecente scaricare i malumori sulla istituzione massima

Foto d’archivio

ROMA – È sicuramente uno spettacolo poco edificante quello al quale assistono i cittadini italiani in questi giorni nei quali il Parlamento in seduta comune è ripetutamente convocato per l’elezione di due giudici costituzionali, due dei cinque che spetta alle Camere riunite scegliere.

La vicenda, in cui si è perso il numero delle votazioni, si presta a vari commenti, tutti peraltro negativi, sia che la situazione la si veda sotto il profilo dei rapporti tra le segreterie di partito e i gruppi parlamentari, sia che si rifletta sui nomi prescelti. Anche se i due aspetti sono, per molti versi, intimamente connessi.

È evidente che nella votazione che non riesce a concludersi con un voto positivo sui candidati scelti dalle segreterie di partito in accordo tra loro, almeno Partito Democratico e Forza Italia, c’è un malessere che deriva dalla gestione in vario modo autoritaria dei due partiti. Per cui Matteo Renzi impone le sue scelte concordate con Silvio Berlusconi a gruppi parlamentari eletti prima della sua segreteria e quindi fedeli soprattutto alla vecchia gestione del partito, e Berlusconi continua con la sua gestione monocratica, sgradita a buona parte di deputati e senatori che vedono sfilacciarsi il consenso in conseguenza della politica personale dell’ex Cavaliere, come dimostra il risultato delle elezioni europee. Questi motivi di malessere si arricchiscono anche della contestazione dei due nomi prescelti, per essere stati indicati senza un preventivo dibattito nei gruppi parlamentari e per essere molto politicizzati.

È evidente, a questo proposito, che l’Assemblea Costituente, nel prevedere che cinque dei giudici costituzionali fossero designati dal Parlamento, accanto ai cinque indicati dalle magistrature superiori ed ai cinque di nomina del Presidente della Repubblica, abbia inteso inserire nel collegio che deve giudicare la conformità delle leggi approvate dalle Camere alla Costituzione personalità dotate di sensibilità politica perché, nel pronunciarsi, la Consulta deve tener conto del significato politico delle leggi rispetto ai principi consegnati nella Carta fondamentale che è documento di elevato significato politico.

In conseguenza di questo profilo che attiene alla composizione della Corte costituzionale le Camere hanno scelto costantemente personalità che avessero questa sensibilità politica in uno ad una adeguata cultura giuridica che ne facesse interlocutori validi delle altre due componenti, i magistrati ordinari ed amministrativi e di giuristi che il Capo dello Stato normalmente sceglie tra docenti universitari di fama e di esperienza.

Indubbiamente i due designati oggi in pista, Luciano Violante e Donato Bruno, hanno una notevole esperienza politica e sotto questo profilo corrisponderebbero all’idea dell’apporto che i designati dalle Camere dovrebbero dare al Giudice delle leggi, ma ad essi si può “rimproverare” di essere “troppo” politici con la conseguenza di portare nella sede delicatissima della valutazione della legittimità costituzionale delle leggi un eccesso di spirito di parte, tale da rendere quel collegio, che è certamente per due terzi influenzato dalla politica, eccessivamente condizionato dalla provenienza partitica dei suoi membri.

Questa situazione offre il destro a chi vuole contestare le scelte solitarie di Renzi e Berlusconi per una protesta che il segreto del voto consente di esprimere in modo pieno, anche se nell’osservatorio esterno le argomentazioni alla quale ci siamo rifatti rilevano poco ed il cittadino è portato a giudicare negativamente la mancata decisione ritenendola effetto di giochi sotterranei di correnti, per nulla apprezzati ed anzi capaci di gettare discredito sulla istituzione parlamentare, una situazione bollata con parole pesanti dai commentatori che non hanno esitato a parlare di “spettacolo indecente”, come ha fatto Michele Ainis in un fondo del Corriere della Sera del 16 settembre dal titolo eloquente “Scherzare con il fuoco”, per dire che “la paralisi delle assemblee parlamentari, l’incapacità di assolvere ai propri adempimenti costituzionali, descrive un presupposto tipico per il loro scioglimento anticipato. Non accadrà, ne siamo (quasi) certi. Però delle due l’una: o la giostra riparte, o alla fine della giostra verranno disarcionati tutti i cavalieri”.

È il malessere della politica, della lontananza degli eletti dagli elettori, che tra l’altro non li scelgono, del paese legale dal paese reale, attestato da un altissimo livello di evasione fiscale, segno di una diffusa illegalità, da sprechi giganteschi nella utilizzazione del denaro pubblico, da una diffusa corruzione a tutti i livelli della vita pubblica. Una situazione esplosiva, resa ancor più preoccupante dalla grave crisi economica ed occupazionale che colpisce tutti gli strati della popolazione la quale non ha modo di intravedere iniziative concrete capaci di perseguire obiettivi di crescita, in un contesto di inefficienza delle pubbliche amministrazioni e in presenza di un carico fiscale confiscatorio che pesa sempre sui soliti noti.