Il giudice di Catania e l’indipendenza di sentenza, un magistrato commenta: la propria fede politica mai guidi le decisioni

Il giudice di Catania e l'indipendenza di sentenza, un magistrato commenta: la propria fede politica mai deve guidare le sue decisioni nel momento in cui indossa la toga dello Stato

di Salvatore Sfrecola
Pubblicato il 8 Ottobre 2023 - 19:34 OLTRE 6 MESI FA
Il giudice di Catania e l'indipendenza di sentenza, un magistrato commenta: la propria fede politica mai deve guidare le sue decisioni nel momento in cui indossa la toga dello Stato.

Il giudice di Catania e l’indipendenza di sentenza, un magistrato commenta: la propria fede politica mai deve guidare le sue decisioni nel momento in cui indossa la toga dello Stato.

Il giudice non deve solo essere indipendente ma anche apparire tale agli occhi dei cittadini, perché questi non devono in nessun modo dubitare della sua indipendenza se, nella sua vita, dimostra di essere “di parte”.

Salvatore Sfrecola ricorrda sul suo blog, Un Sogno Italiano, l’avvertimento ricevuto al momento del giuramento da magistrato.

È una formula che si sente ripetere ai magistrati di tutte le giurisdizioni al momento dell’ingresso in carriera, richiamata più volte anche dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che del Consiglio Superiore della Magistratura è Presidente.

Io ho difeso sempre l’indipendenza dei giudici dalle ricorrenti intromissioni della politica, quando le sentenze non piacciono al potere governativo o parlamentare per cui, semplificando, si sente dire che il singolo magistrato è schierato contro. L’ho fatto anche in occasione della pronuncia del giudice di Catania che ha deciso in un modo, sul quale non mi pronuncio, ma che è stato criticato aspramente sia dal Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che dal Vicepresidente e Ministro delle infrastrutture, Matteo Salvini, già Ministro dell’interno.

Essi hanno ritenuto che il giudice non abbia fatto corretta applicazione di una norma che è stata appositamente varata nell’ambito di un pacchetto di disposizioni tese a limitare in qualche modo gli ingressi clandestini in Italia. 

Tuttavia, se sono vere le immagini, diffuse dai giornali e nel web, del magistrato di Catania che nel 2018 partecipava ad una manifestazione di piazza contro il governo e la sua politica dell’immigrazione, anche se la persona che si intravede non sembra assumere atteggiamenti violenti nelle parole e nei gesti, è evidente che quel magistrato ha dato dimostrazione di essere dalla parte di chi contesta la politica del governo e quindi di non poter decidere su atti che sono espressioni di quella politica.

Nessuno ovviamente nega ai magistrati di avere delle idee politiche. Le abbiamo tutti, dobbiamo averle tutti se siamo cittadini partecipi di questa società, ma nell’esercizio delle funzioni delicate che consistono nella pronuncia di una regola di diritto queste idee non devono mai essere palesate. Perché nessun cittadino deve poter pensare che il giudice abbia fatto prevalere la propria idea politica rispetto alla neutrale applicazione della legge, in una decisione adottata “in nome del Popolo Italiano”.

Pertanto, se quelle immagini sono vere, il giudice di Catania avrebbe dovuto sentire il dovere di astenersi facendo presente al Presidente del Tribunale che, avendo partecipato, sia pure in forma silenziosa, ad una manifestazione contro la politica governativa in materia di immigrazione riteneva opportuno astenersi in un procedimento che aveva ad oggetto l’applicazione di una normativa in tema di contrasto all’immigrazione clandestina. Perché nessuno dubitasse della sua indipendenza.

Sbaglia, quindi, l’Associazione Nazionale Magistrati (A.N.M.) a difendere questo magistrato ritenendo che quella presenza del 2018 sia un fatto privato. Infatti, quando si dice che il magistrato deve “apparire” indipendente per poter svolgere con serenità, rispettato dalla gente, la sua delicatissima funzione si tiene conto anche della sua condotta privata.

Ne consegue che, consapevole di aver partecipato ad una manifestazione di dissenso rispetto alla politica dell’immigrazione, chiamato a decidere su un caso controverso, il giudice che non si astenga fa dubitare della propria indipendenza, così danneggiando l’immagine dell’intera magistratura.

La difesa corporativa di un giudice che sbaglia è un errore perché con il suo comportamento inevitabilmente il cittadino sarà indotto a ritenere, magari sbagliando, che quel giudice abbia deciso, non solamente nel caso in questione, secondo una personale convinzione, certamente rispettabile, ma che mai deve guidare le sue decisioni nel momento in cui indossa la toga dello Stato.