Monti dopo Berlusconi: destra e sinistra non sono superati

di Salvatore Sfrecola
Pubblicato il 30 Gennaio 2013 - 11:15| Aggiornato il 13 Maggio 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Mario Monti, ha aperto la sua dicendo campagna elettorale, che oggi destra e sinistra sono concetti politicamente superati. Le parole di Monti, mirate ai voti dell’ampia platea dei moderati, che lui preferisce chiamare riformisti o riformatori, hanno destato stupore in tanti, proprio in quella platea moderata ma informata, che avevano seguito un’altra campagna elettorale

Sono state parole che hanno stupito non pochi, all’indomani della conclusione di un’altra campagna elettorale, quella americana, che ha visto contrapposti Barack Obama e Mitt Romney, i quali invece hanno usato tutti gli argomenti di una contrapposizione destra – sinistra che non hanno mai cercato di dissimulare, marcando col massimo impegno quanto li distingue sul piano politico. Idem in Gran Bretagna, dove laburisti e conservatori si confrontano con differenze non di poco conto.

Destra e sinistra sono, con le caratteristiche proprie di ogni movimento politico, concetti vivi e attuali, anche se cambiano continuamente, né potrebbe essere diversamente considerata la continua evoluzione dei costumi e della realtà sociale. Da una parte, a destra, la fiducia nel libero mercato in uno stato poco invasivo; dall’altra, a sinistra, la regolamentazione del mercato. Differenze ben visibili, anche se sfumate su alcuni aspetti dei programmi di governo. Tipico il tema dell’ambiente o quello della immigrazione, che vengono affrontati con varietà di posizioni di dettaglio.

Da qui l’idea per qualcuno che si possano considerare superati i concetti di destra e sinistra, per dire, in sostanza, che ci vuole

“meno politica di quella di una volta, meno partiti, meno governo, come se tutto dipendesse dall’essere disponibili o contrari al cambiamento, inteso come generale progresso dell’umanità”.

La conseguenza di questa idea di politica è sotto gli occhi di tutti. La fine delle ideologie, tanto declamata come innovativa per il superamento delle distinzioni, ha privato il confronto politico dei riferimenti ai valori ideali che soli motivano l’impegno delle persone, le quali assumono di quelle idee la rappresentanza nelle istituzioni con il conforto del voto popolare sollecitato proprio con riferimento all’impegno che partiti e candidati assicurano nel corso delle campagne elettorali.

L’appello ai moderati, ai riformatori cui ricorrono Monti e gli altri leader politici è, dunque, equivoco e sconta il desiderio di sfumare le diversità per raccogliere consensi ma rischia, in un momento di grave crisi economica, di allontanare ancor di più l’elettore che fa i conti con la propria situazione economica e con le prospettive che ragionevolmente si trova davanti e non intravede nella genericità del messaggio la risposta alle aspettative che per la sua condizione è andato definendo.

L’evidente inadeguatezza delle forze politiche schierate sulla destra e sulla sinistra porta gli uni e gli altri a cercare di acquisire consensi al centro, considerato che quell’area politica, pur modesta quanto a consensi, è tradizionalmente variegata e sfrangiata sulla destra e la sinistra, fin dai tempi in cui era occupata dalla Democrazia Cristiana, “un partito di centro che guarda verso sinistra”, secondo una nota definizione di Alcide De Gasperi. Che Monti ha ripreso subito dopo la conferenza di fine anno, evidentemente considerandola un modo come un altro per non schierarsi, per cercare di conquistare consensi che, invece, molto spesso, si perdono, come dimostra l’ampio astensionismo accertato nelle ultime elezioni, un non voto che deriva dalla mancanza di stimoli provenienti dalla politica.

L’evoluzione del futuro non è aiutata dalla storia del passato, dalla democrazia bloccata in cui si è trovata la nostra Italia dalla fine della guerra a vent’anni fa, con un partito di governo, la Democrazia Cristiana, al quale non ci sono state alternative finché la sinistra è stata egemonizzata da un partito che aveva una guida al di là dell’Occidente democratico. Con la conseguenza che i due partiti erano legati da uno stesso destino, come si dice in diritto, simul stabunt simul cadent. Ma, mentre la Dc è caduta rovinosamente manifestando la precarietà della sua classe dirigente, la sinistra ha saputo serrare le fila e, cambiando ripetutamente pelle, sopravvivere a se stessa, contrapposta alla difficoltà politica di un centrodestra diviso e privo di idee.

I moderati, i cattolici, i liberali e quanti credono nei valori spirituali e politici dell’occidente cristiano si sono ritrovati sparpagliati, taluni aggregati alla sinistra, mentre altri non hanno saputo creare una casa comune, forse perché la fine della Dc ha scatenato le ambizioni personali. O forse, più probabilmente, perché non si è trovato il leader giusto, considerato che Silvio Berlusconi, che quel ruolo avrebbe potuto svolgere, ha mostrato ben presto gravi limiti culturali, in senso politico, aggregando dai più diversi lidi.

L’origine socialista, la sua visione imprenditoriale dello Stato che è cosa diversa dall’impostazione propria della destra italiana, ispirata al liberalismo e al rispetto delle istituzioni, hanno fatto sì che la potente aggregazione, la maggioranza parlamentare più numerosa della storia d’Italia, dimostrasse presto tutta la fragilità di un movimento politico dalle troppe anime formatosi sulla base di un reclutamento ispirato alla cooptazione e non riuscisse ad esprimere, nonostante la forza dei numeri, una adeguata iniziativa politica ispirata ad una visione istituzionale omogenea.