
La locandina, il consiglio cinematografico di oggi: Hereditary - Le radici del male, di Ari Aster - Blitz Quotidiano
Pochi giorni fa, a Cannes, il regista Ari Aster ha presentato in anteprima il suo nuovo film, il già discusso e ampiamento criticato Eddington. Proiettandosi ai confini della parodia, catturando nella società americana le angosce e gli affanni derivanti da un’emergenza impellente che si fa rivelatrice dei più profondi contrasti sociali, Aster ci riporta nel 2020, ovvero nel pieno della pandemia di COVID-19. Sfruttando l’immaginaria cittadina di Eddington, situata nel New Mexico, e giocando con le tonalità dell’horror e della commedia dissacrante, Aster dà vita a un teatro grottesco, sanguinolento e allucinato esasperato dalle ipocrisie morali, dalla manipolazione mediatica, dalle proteste e dalle ribellioni.
Eddington, con protagonisti Joaquin Phoenix, Pedro Pascal, Emma Stone e Austin Butler, è il quarto film di Ari Aster. Inizialmente relegato ai “margini” dell’horror, grazie al successo autoriale di film come Hereditary (2018) e Midsommar (2019), il regista aveva già dimostrato con la sua terza opera, Beau ha paura (2023), di saper aggiornare il suo talento camaleontico adattandolo a generi differenti, come per esempio quello della commedia grottesca. Riavvolgendo il nastro di qualche anno, e attendendo l’uscita in sala di Eddington, oggi cogliamo l’occasione per consigliare il suo lungometraggio d’esordio, l’inquietante Hereditary – Le radici del male.
Hereditary – Le radici del male, di Ari Aster
Quando sua madre Ellen perde la vita, quella di Annie (Toni Colette) viene irreparabilmente stravolta, lasciandole una ferita profonda e permanente nell’animo. Dopo aver presenziato al funerale, in compagnia del marito Steve (Gabriel Byrne), e dei figli Charlie (Milly Shapiro) e Peter (Alex Wolff), Annie decide di voler indagare sull’oscuro passato della madre. Quando suo marito riceve una strana chiamata dal cimitero, informandolo della profanazione della tomba di Ellen, Annie inizia ad avere strane e inquietanti visioni. Profondamente turbata, la donna inizia a frequentare un gruppo d’ascolto e la verità sembra venire a galla: molti membri della sua famiglia, inclusa la defunta madre, hanno sofferto di malattie mentali.
Steve, credendo che sua moglie stia avendo un crollo emotivo, non crede minimamente alle parole di Annie, che intanto trova rifugio nella misteriosa figura di una donna, Joan (Ann Dowd). Quest’ultima convince Annie a praticare una seduta spiritica, nel tentativo di risvegliare in lei i demoni del passato e quell’eredità maligna che pare aver contaminato la sua famiglia.
“Guardati bene dalle apparenze”
Aster, per il suo lungometraggio d’esordio, decide di affidarsi alla memoria di alcuni spiacevoli avvenimenti che hanno segnato profondamente lui e la sua famiglia: pare infatti che alcuni suoi cari abbiano pensato per anni di vivere la loro stressante vita all’ombra di un’oscura e misteriosa maledizione. Partendo da qui, il regista ha naturalmente smussato e alterato la realtà dei fatti accentuando eventi, comportamenti e conseguenze al fine di sviluppare una storia horror principalmente concentrata sull’elaborazione, collettiva e personale, di un particolare trauma.
Spingendo la propria visione ai limiti estremi della tensione e della tragicità, quella che travolge la famiglia protagonista e di conseguenza anche il pubblico, Aster realizza un’opera elegante e profondamente disturbante nella quale ogni piccolo dettaglio sembra suggerire una complessità interpretativa che naviga al di fuori di ogni preconcetto. In Hereditary, infatti, all’inizio tutto sembra mostrarsi in un certo modo, tanto da favorire e forse perfino assecondare diabolicamente una banalità percettiva piuttosto fuorviante. A poco a poco, però, come in un Cubo di Rubik, ogni faccia strutturale del film rinuncia al proprio stato di pura apparenza, al colore unico, incoraggiando il pubblico, sapientemente raggirato, a riformulare continuamente le proprie sensazioni e intuizioni.
Per fare questo, vincolando la profondità dei contenuti al proprio linguaggio stilistico per nulla convenzionale, Aster si è abbandonato alle suggestioni di alcune opere passate che senza dubbio devono averlo influenzato radicalmente. Impossibile non notare le affinità del suo primo lungometraggio con il capolavoro Rosemary’s Baby, di Roman Polanski, o con quelle del meno popolare A Venezia… un dicembre rosso shocking, di Nicolas Roeg. In entrambi i film, così come in Hereditary, la forma, rivoluzionaria nel caso di Rosemary’s Baby, e i contenuti, complessi in tutte e tre le pellicole, si combinano alla perfezione in un intreccio espositivo intenso e inquietante, che in definitiva ha il potere di mettere a disagio il proprio pubblico. Nell’attualità cinematografica, cogliendo l’occasione per un altro suggerimento, consigliamo un film che, seppur diverso da Hereditary, pare accostarsi idealmente al film di Aster con cui condivide non poche similitudini: Babadook, di Jennifer Kent.