“Mamma li turchi”, i socialisti greci vogliono il muro al confine: “Basta immigrati, siamo al completo”

Pubblicato il 3 Gennaio 2011 - 13:57 OLTRE 6 MESI FA

Da una parte ci sono i greci, che tra Stato sull’orlo della bancarotta, austerity forzata e scioperi continui, proprio bene non se la passano. Dall’altra ci sono i turchi che di certo non se la passano meglio, altrimenti non attraverserebbero il confine a caccia di fortuna  nel Paese che di opportunità, almeno in Europa, ne offre meno di tutti. In mezzo, per ora, ci sono i campi. Quei campi dove lavorano proprio i clandestini. Quei campi che, molto presto, potrebbero essere attraversati da un muro, tirato su proprio per fermare gli immigrati. Non solo turchi: ci sono afghani, curdi, iracheni e nord africani.

L’idea, non esattamente un modello di originalità,  è venuta al ministro dell’immigrazione greco Christos Papoutsis. Un socialista che, sulla carta, dovrebbe avere, quanto a politiche dell’immigrazione, un atteggiamento tendenzialmente più morbido. Non è così: Papoustis lo ha detto a chiare lettere “abbiamo superato la capacità massima di accoglienza di clandestini”, quindi i clandestini si tengono fuori con un muro, qualcosa di analogo, solo per fare un esempio, a quello che dovrebbe tenere i messicani fuori dagli Stati Uniti. Il condizionale è d’obbligo visto che i messicani passano lo stesso: la sola cosa che cambia, e non è un dettaglio, è che ne muoiono tanti (diverse centinaia ogni anno).  I disperati infatti per attraversare  il confine scelgono le zone più difficili ma meno pattugliate.

In Italia, forse perché di confini terrestri “scomodi” non ce ne sono ci dobbiamo accontentare del “muro di Padova”, una serie di barriere erette nel 2006 a via Anelli ufficialmente per “motivi di ordine pubblico”. Un’intera porzione di città, abitata in larga parte da immigrati, è stata recintata con un metodo “low cost”, il tutto realizzato con lamiera e ferro.

Papoustis, per ora, non ha svelato nel dettaglio il suo progetto. Il muro dovrebbe essere di circa 150 chilometri. Non sono pochi ma comunque molti di meno dei 3000 che separano Usa e Messico. Il problema è che, anche se la proposta dovesse avere un avvenire politico, il muro andrebbe costruito (e costa) e pattugliato (e costa ancora di più).

La zona più “sensibile” è quella del fiume Evro. Spiega il giornale tedesco “Der Spiegel”: “Da gennaio a novembre del 2010, solo lungo i 12 chilometri e mezzo del fiume Evros sono stati fermati 32.500 profughi privi di passaporto, mentre il flusso attraverso le isole (quello più battuto fino a qualche anno fa) è crollato dell’80%”.

Non lontano dalla Grecia, sempre a dividere ellenici e turchi c’è quello che rimane di un altro muro. Basta andare a Cipro: l’isola era spaccata in due e divisa da una cortina, greci cristiani da una parte, musulmani turchi dall’altra. Forse non consola ma almeno a Cipro l’immigrazione non c’entra nulla, è una storia più violenta, fatta di guerra, invasioni e ritorsioni. Eppure, dal 2004 a oggi, pezzo dopo pezzo il muro di Cipro sta andando in frantumi. E questo rende la proposta di Papoustis ancora più surreale: mentre chi ha combattuto per mezzo secolo trova la forza della riunificazione, c’è chi vuole tirare su un altro muro. Sempre greci e turchi sono, ma il pane è poco e la volontà di dividerlo è nulla.