Agcom, sciopero della fame nel silenzio. Dipendenti contro Calabrò

Pubblicato il 1 Luglio 2011 - 00:38 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – L’utlimo round  (per ora) si è consumato giovedì 30 giugno, data in cui il consiglio dell’Autorità garante per le telecomunicazioni si è riunito per parlare ancora una volta delle procedure per i concorsi di assunzione. Nell’autority, però, il clima è molto teso, aggravato dalla recente decisione in materia di diritto d’autore, non condivisa da tutti i componenti della commissione da molti vista come molto funzionale agli interessi di Mediaset,

La vertenza sulle assunzioni vede contrapposti da un lato il presidente Corrado Calabrò con il suo staff e, a quanto pare, i commissari unanimi; dall’altra i principali sindacati “bianchi” di categoria, FALBI-CONFSAL, FIBA-CISL, SIBC- FISAV e UILCA-UIL e non invece la CGIL. Da undici giorni tre dipendenti dell’Agcom, l’ingegner Roberto Pompili, Angela Sabella, Nando Crisafi sono in sciopero della fame. Vivono 24 ore su 24 nella stanza sindacale della sede dell’autority e hanno scelto questa forma di protesta estrema perché, spiegano, nei quasi due mesi di agitazione non sono mai stati neppure ricevuti dal presidente Calabrò.

Prima, il 14 giugno, i sindacati avevano tentato la carta dello sciopero, sperando di smuovere qualcosa in Agcom. L’Autorità, però, attraverso Calabrò aveva invece risposto con un comunicato tutt’altro che distensivo: “In questi anni i dipendenti dell’Agcom hanno avuto molto sia sul piano dei trattamenti economici sia su quello degli istituti giuridici – prosegue nella – Esiste però un limite che non è consentito oltrepassare, tanto più in una situazione nella quale, in Italia, a tutti – e in primo luogo ai dipendenti pubblici – sono richiesti moderazione e comportamenti conseguenti: quello della legge. L’Agcom, nei suoi atti, si è mossa e continuerà a muoversi in linea con quanto le norme prescrivono, senza derogare ai vincoli imposti a tutte le amministrazioni pubbliche in tema di retribuzioni e di rigore di bilancio”.

I sindacati coinvolti nell’agitazione negano, però, che alla base della protesta ci siano gli stipendi o i tagli e la riconducono invece alla denuncia di una sostanziale occupazione dell’autority da parte della politica, mediante il ricorso a consulenze esterne e concorsi “disegnati” su misura per promuovere nuovi dirigenti.

Legge Brunetta e assunzioni. Al centro della diatriba, almeno in quest’ultima fase, c’è l’applicazione, da parte della Presidenza dell’Agcom, della Legge Brunetta sulla Pubblica Amministrazione che prevede, tra le altre cose, una chiara distinzione tra le materie oggetto di trattativa sindacale (trattamento economico e giuridico dei lavoratori) e quelle di carattere organizzativo, che sono attribuite alla responsabilità dell’organo decisionale di vertice.

Secondo la Brunetta carriere e concorsi, con relativi requisiti dei vincitori, non sarebbero oggetto di trattativa sindacale. Calabrò ne è convinto, i sindacati, invece protestano anche perché la legge Brunetta non è mai stata applicata in questo modo dalle altre autority. Vero è che l’illegalità diffusa non giustifica il comportamento individuale, ma la logica sindacale appartiene a una categoria diversa dalla logica aristotelica. Inoltre, Agcom, oltre ad applicare la norma, ha unilateralmente annullato tutti i precedenti accordi sindacali, con la motivazione del contrasto proprio con la Brunetta.

Calabrò, spiega a Blitzquotidiano Paola Calestani di Falbi, ha chiesto parere al Consiglio di Stato (tribunale di cui lo stesso Calabrò è presidente onorario: questa non è una novità e prima sembrava che la cosa non desse fastidio a nessuno). Eppure il tribunale si è di fatto chiamato fuori dalla questione Brunetta con un salomonico “potete applicarla o non applicarla”, ma su un aspetto centrale, sostengono i sindacati, ha dato loro ragione sostenendo la non cancellabilità degli accordi sindacali in vigore.

Secondo i sindacati, il vertice Agcom vuole scegliere in modo unilaterale chi debba occupare gli incarichi più importanti della struttura “ignorando le richieste di trasparenza dei sindacati”, il che vuole dire, fuori di metafora, non lasciandosi imporre e comunque non negoziando le decisioni con i sindacati, come avviene in genere nel settore pubblico, dove spesso sono i sindacati a decidere le carriere anche di vertice.

Dallo sciopero allo sciopero della fame. Discussioni e contrasti tra i sindacati e Calabrò hanno inizio nel luglio 2009, quando, secondo Pompili, “i vertici di Agcom decidono di violare un accordo sindacale che prevedeva una ripartizione a metà tra concorsi riservati ad interni e a esterni”, una forma di lottizzazione dove il sindacato sostituisce i partiti.

Da allora il rapporto tra vertici e sindacati è un susseguirsi di atti unilaterali, tribunali e tentativi di conciliazione. Lo strappo definitivo si consuma però il 15 aprile 2011 quando con una delibera il Consiglio Agcom decide di applicare unilateralmente la Legge Brunetta annullando, di conseguenza, tutti gli accordi sindacali in essere ritenuti incompatibili con la legge.

E’ l’azione che porta i sindacati (con l’eccezione della Cgil che sulla questione si è chiamata completamente fuori) a proclamare lo sciopero per il 14 giugno. La data non è casuale: si tratta infatti del giorno in cui Corrado Calabrò presenta la relazione annuale sull’operato dell’autority alla Camera. Si tratta anche del primo sciopero della storia dell’Agcom, agitazione cui, adetta dei sindacati, partecipa il 60% dei lavoratori.

Della risposta di Calabrò allo sciopero si è già detto. Ai sindacati non va giù soprattutto il passaggio del comunicato Agcom sulle retribuzioni es ul rigore di bilancio. I sindacati (vedi sezione sulle interrogazioni parlamentari) accusare di sprechi i vertici dell’Agcom.

Così lunedì 20 giugno i tre rappresentanti sindacali iniziano lo sciopero della fame. Da allora: i tre dormono nei sacchi a pelo dentro la stanza del sindacato nella sede Agcom. “Siamo stupiti di noi stessi, stiamo bene e facciamo controlli medici” spiega Pompili a Blitzquotidiano. Quindi annuncia: “Continuiamo a oltranza, a prescindere dall’esito del consiglio di domani (30 giugno, ndr), fino a che ci sostengono le forze”. Quando gli viene chiesto perché Pompili usa poche parole: “Se ogni consiglio che arriva nomina 10 dirigenti per nomina politica allora l’autonomia non esiste più, su di una struttura di 250 persone è davvero troppo”.