Consulta, il giudice Paolo Napolitano chiede di introdurre il “diritto di dissentire”

Pubblicato il 1 Novembre 2009 - 21:00 OLTRE 6 MESI FA

«La segretezza non è una garanzia e nulla ha a che fare con l’indipendenza del giudice. Anzi, il voto segreto rischia di diventare un alibi per l’incoerenza». Il giudice della Corte Costituzionale, Paolo Maria Napolitano, auspica una «operazione di trasparenza». E  chiede che la Consulta abbandoni la votazione segreta e, soprattutto, che al giudice in disaccordo con la maggioranza del collegio sia data la possibilità di esprimere la propria opinione dissenziente. «Non parlo in riferimento alla recente sentenza della Corte che ha dichiarato l’incostituzionalità del lodo Alfano – premette Napolitano -. Esiste una questione di carattere generale: quando si giudica una legge è impensabile procedere con la categoria del “vero-falso”, altrimenti si rischiano sempre guerre di religione».

Sessantacinque anni, romano, una lunga carriera alle spalle come funzionario al Senato, ex capo dell’ufficio legislativo di Gianfranco Fini, consigliere di Stato, Napolitano è stato eletto giudice costituzionale tre anni fa dal Parlamento, su indicazione del centrodestra. Nei mesi scorsi, assieme al giudice Luigi Mazzella, è finito nella bufera per aver partecipato a una cena assieme al premier Silvio Berlusconi e, tra gli altri, al Guardasigilli Angelino Alfano qualche tempo prima che la Corte si pronunciasse sul lodo che sospendeva i processi nei confronti delle quattro più alte cariche dello Stato.

«È impensabile ritenere che 15 giudici possano sempre esprimersi all’unanimità. Se ciò avvenisse – sostiene Napolitano – sarebbe una preoccupante mancanza di pluralismo culturale. Non consentire l’ opinione dissenziente significa ritenere il giudizio di costituzionalità quasi un processo deterministico, per cui da una certa norma sottoposta a giudizio possa emergere una sola decisione, quella adottata. Così non è. La Costituzione contiene tanti valori e le decisioni non possono rientrare nell’unica categoria del “vero-falso”, piuttosto sono il frutto di una valutazione complessiva di valori e categorie».

Di introdurre la cosiddetta “dissenting opinion” nelle decisioni della Corte Costituzionale italiana, sul modello di quanto già avviene in altri Paesi europei, tra cui Germania e Spagna, i giudici della Consulta ne dibattono da anni. Ma non se ne è mai fatto nulla: l’ultimo tentativo, anch’esso andato a vuoto, risale al 2002, quando l’allora presidente Cesare Ruperto propose di cambiare le norme integrative della Corte, così da consentire al giudice dissenziente di spiegare, per iscritto, di seguito al testo della sentenza, i motivi della sua contrarietà rispetto alla maggioranza del collegio.

Entro l’anno l’attuale Corte, presieduta da Francesco Amirante, dovrebbe tornare sulla questione. In vista di quest’appuntamento, rispetto al quale lascia intendere di non nutrire molte speranze, Napolitano rilancia. E propone che la ‘dissenting opinion’ sia introdotta non per tutte le decisioni della Corte, ma solamente per quelle rilevanti o che rischiano di dividere l’opinione pubblica. «In occasione del dibattito tra costituzionalisti che si aprì nel ’93, il prof. Sergio Fois fece notare che, vista l’inappellabilità delle sentenze della Corte Costituzionale, l’opinione dissenziente poteva rappresentare una forma di controllo intrinseco». Una forma di trasparenza, dunque, la stessa che – aggiunge Napolitano – «professava Norberto Bobbio nel suo libro “La democrazia e il potere visibile” oppure Costantino Mortati quando definiva un sistema senza spina dorsale quello che escludeva la possibilità di individuare la posizione personale dei singoli giudici costituzionali».

Il giudice che esprime il proprio dissenso, motivandolo, lo fa per trasparenza e come “memento” di futura coerenza. «Il processo legislativo – osserva Napolitano – avviene sotto la forma della massima pubblicità e dunque non si capisce il perché, in una fase che può essere demolitoria di una legge talvolta approvata dopo anni di compromessi tra le diverse forze politiche, questa forma di pubblicità debba essere negata nelle decisioni della Corte Costituzionale». Non solo: Napolitano sembra chiedersi se una legge dello Stato possa essere ritenuta illegittima, e quindi cancellata, solo attraverso una votazione a maggioranza semplice, anziché qualificata.«A maggior ragione c’è la necessità dell’opinione dissenziente in un sistema come il nostro in cui – osserva – non sono norme costituzionali quelle che stabiliscono il quorum necessario per la validità delle deliberazioni della Corte, e non sono neppure norme costituzionali quelle che stabiliscono la maggioranza prevista per l’adozione della decisione». È infatti la legge ordinaria n.87 del 1953 ad aver stabilito che la Corte non può funzionare al di sotto di 11 giudici, che le decisioni sono adottate a maggioranza semplice dei presenti, e che in caso di parità il voto del presidente vale doppio.

«Se il sistema di voto a maggioranza semplice è inevitabile in caso di conflitti, ci si potrebbe domandare – afferma Napolitano – se esso sia adeguato quando la decisione venga ad avere a riferimento le leggi dello Stato». Se non attraverso una modifica del regolamento della Corte, dissenting opinion potrebbe essere introdotta – ad avviso di Napolitano – modificando la legge del ’53. Del lodo Alfano non c’è proprio verso di farlo parlare («lo ripeto, la questione che pongo è di carattere generale»), ma Napolitano resta dell’idea che abbandonando la categoria del “vero-falso” si eviterebbero guerre di religione.

Questo significa che se fosse stata già in vigore l’opinione dissenziente in occasione della decisione del lodo la Corte non sarebbe stata bersaglio di accuse o polemiche politiche ? «Forse, se vi fossero stati giudici contrari ed essi avessero potuto esprimere i motivi del loro dissenso – si limita a rispondere – la polemica si sarebbe svolta più a livello giuridico che politico».